Categorie
Tecnologia

Caro Zuckerberg, sicuro che fare a botte con Elon Musk sia una buona idea?

Author: Wired

E, Mark, la cosa più ironica è che con il successo della tua nuova app di social media, Threads, hai già risolto in modo soddisfacente la tua disputa con Musk. A fronte dei cento milioni di utenti accumulati in pochi giorni, Threads potrebbe affondare Twitter, o almeno dare un’altra bella mazzata alla già malconcia acquisizione da 44 miliardi di dollari di Musk. Far coincidere il lancio del tuo clone di Twitter con il picco di frustrazione degli utenti per come il tuo rivale sta gestendo la piattaforma originale è stata una mossa degna del miglior jiujitsu, per quanto non violenta. Gliel’hai già date di santa ragione! Dopo tutto questo, hai davvero bisogno di sottometterlo anche in un combattimento dentro una gabbia?

In realtà, Mark, Elon non è il tuo avversario principale e nemmeno il più temibile. Pensi che Lina Khan, direttrice della Federal Trade Commission [Ftc, l’agenzia statunitense che si occupa di tutela dei consumatori, ndr], non si sia accorta che la società di social media più importante al mondo ha ottenuto un successo sensazionale sfruttando i miliardi di utenti di cui già disponeva? E che nel frattempo abbia probabilmente tagliato fuori diverse promettenti startup simili a Twitter, che ora hanno probabilità di successo molto più esigue?

È vero che di recente Khan ha subito un Ko tecnico quando ha tentato di bloccare l’acqusizione di Activision da parte di Microsoft, ma è ancora a capo una potente agenzia federale e ha dalla sua un pericoloso gancio sinistro. Mentre tu, a 39 anni, ti stai allenando per sfidare un 52enne che si vanta di avere il pene più grosso del tuo, il successo di Threads potrebbe spingere Khan a intraprendere ulteriori azioni. Sfidare la direttrice dell’Ftc su un vero ring, in una vera arena da combattimento, non risolverà il problema. E per rimanere in tema, nemmeno formare un gruppetto di amichetti fanatici delle arti marziali dissuaderà l’Unione europea dai suoi contrattacchi alle tue attività commerciali (a quanto pare, lo zelo normativo dell’Ue è il motivo per cui Threads non è ancora stato lanciato in Europa).

Seriamente, Mark, non credo che tu voglia davvero catapultare l’umanità verso una cultura hobbesiana in cui i calci volanti vincono sull’ingegneria e sullo stato di diritto. Ho ascoltato ogni parola della tua chiacchierata da 161 minuti con Fridman, e hai dato risposte ponderate in materia di moderazione dei contenuti, libertà di parola, realtà virtuale e intelligenza artificiale, questo quando non eri impegnato della palestra che gestisci per i tuoi dirigenti.

Quindi, Mark, invece di prendere parte a uno spettacolo degradante con Elon, attingi alla parte più saggia di te. Oppure, ascolta Maye Musk, la madre di Elon, che vuole mettere fine a questa follia-Piuttosto, fatti questa domanda: combattere su un ring contro il tuo rivale in affari è il miglior esempio da dare alle tue tre figlie? Immagino che quando pensi a quello che potranno realizzere nelle loro vite estremamente privilegiate, tu non le veda fare da punching ball in un’arena. Anzi, scommetto che tu e Priscilla sareste molto orgogliosi se da grandi si imponesse grazie alle loro idee e non ai loro pugni. Pensaci.

Il tuo amico, Steven.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

Categorie
Economia Tecnologia

I colossi dell’intelligenza artificiale non sono pronti per l’Ai Act europeo

Author: Wired

La legge europea sull’intelligenza artificiale, l’Ai Act, è quasi pronta e rappresenta il primo tentativo di normare, nel modo più ampio possibile, lo sviluppo e l’utilizzo dei sistemi di intelligenza artificiale. Dalla trasparenza al grado di rischio che gli algoritmi di deep learning pongono a livello sociale (soprattutto in termini di sorveglianza), dal divieto di utilizzare alcune controverse tecnologie (come il riconoscimento emotivo) fino all’energia richiesta per l’addestramento e l’utilizzo di questi sistemi: per le società che si occupano di intelligenza artificiale, l’Ai Act rappresenta un test di fondamentale importanza.

Non solo per evitare di essere tagliati fuori da un mercato di fondamentale importanza come quello europeo, ma soprattutto perché – come già avvenuto con il Gdpr, il regolamento sulla privacy – la legge dell’Unione europea sull’intelligenza artificiale potrebbe diventare un esempio a cui guarderanno, a livello globale, tutti gli stati e le istituzioni intenzionate a regolamentare l’utilizzo di una tecnologia che sta ponendo sfide inedite.

Non è tutto: dando per scontato che, come già avvenuto sempre con il Gdpr, l’Unione europea deciderà di applicare rigidamente le sue norme, è probabile che i colossi dell’intelligenza artificiale dovranno uniformare i loro prodotti indipendentemente dal mercato di destinazione, per evitare di complicare enormemente il processo di sviluppo.

E allora, quanto sono pronti i vari OpenAI, Google, Hugging Face, Meta e non solo a rispettare le norme che stanno per essere definitivamente varate dall’Unione Europea (tenendo in considerazione che alcuni elementi potrebbero ancora cambiare nelle ultime fasi di discussione)?

La ricerca:

  1. Lo studio
  2. Dove stanno i big
  3. Come migliorare i provvedimento

Le pagelle degli studiosi di Stanford

Le pagelle degli studiosi di Stanford

Lo studio

I ricercatori di Stanford del neonato Center for Research on Foundation Models hanno provato a rispondere a questa domanda in un paper che indaga il loro livello attuale di adesione alle norme previste. Al momento, sembra che il grado di preparazione sia ancora scarso, anche se i risultati ottenuti dalle varie realtà del settore variano parecchio: “Abbiamo valutato quanto i principali fornitori di foundation models (il nome che alcuni attribuiscono ai nuovi strumenti di intelligenza artificiale generativa, come ChatGPT o MidJourney, ndr) rispettino attualmente i requisiti della bozza europea e abbiamo scoperto che in gran parte non lo fanno”, si legge nel paper.

Categorie
Economia Tecnologia

I 7 colossi tech a cui l’Europa vuole mettere le briglie

Author: Wired

Sono sette le big tech che hanno comunicato all’Unione europea di rientrare nei parametri individuati per entrare nell’elenco dei gatekeeper dal Digital markets act (Dma), regolamento comunitario nato per mettere un freno al potere delle più grandi società tecnologiche e garantire alle aziende più piccole la possibilità di competere con loro.

Si tratta delle statunitensi Amazon, Apple, Alphabet, Meta e Microsoft, della sudcoreana Samsung e della cinese ByteDance, proprietaria di TikTok. Una lista alla quale nel 2024 dovrebbe aggiungersi anche Booking. È stato il commissario europeo per il mercato interno e i servizi Thierry Breton a svelare il 4 luglio i nomi dei colossi.

Twitter content

This content can also be viewed on the site it originates from.

Ai sensi del Dma, entrato in vigore a novembre, sono da considerarsi gatekeeper le aziende con oltre 45 milioni di utenti attivi mensili, una capitalizzazione di mercato di almeno 75 miliardi di euro, 7,5 miliardi di fatturato annuo e una piattaforma per gli utenti, come per esempio un’app o un social network. Rispettando tali parametri, le sette big tech citate da Breton saranno ora chiamate a rispettare regole più severe.

Tra gli altri obblighi che a tali società saranno imposti, c’è per esempio quello di far dialogare le proprie app di messaggistica con quelle della concorrenza, consentendo agli utenti finali di scegliere quale installare sul proprio dispositivo. Esse non potranno più favorire i propri servizi rispetto a quelli dei competitor, né impedire ai propri clienti di rimuovere software o app preinstallate.

L’Europa – spiega Breton – sta riorganizzando completamente il suo spazio digitale sia per proteggere meglio i cittadini dell’Ue, sia per migliorare l’innovazione per le startup e le aziende dell’Unione“. Finalità che potranno essere perseguite anche grazie alle multe previste nel caso in cui le aziende gatekeeper dovessero violare i vincoli imposti dal Dma, che arrivano in certi casi al 10% del fatturato globale annuo.

L’Unione europea confermerà la designazione dei gatekeeper entro il prossimo 6 settembre, al termine delle verifiche sui dati forniti dalle società, che avranno da quel momento in poi sei mesi per conformarsi al regolamento. Un punto interrogativo rimane su ByteDance: l’azienda cinese è infatti convinta di soddisfare i criteri quantitativi del Dma, ma non quelli generali relativi al possesso di una piattaforma obbligatoria per condurre affari online nell’Unione europea e al radicamento tra consumatori e imprese.

Categorie
Tecnologia

La nuova AI di Meta può comporre una canzone partendo da un testo

Author: Wired

Ancora un passo avanti per Meta verso l’evoluzione dell’AI generativa. Il team di ricerca Audiocraft ha da poco rilasciato MusicGen, un modello linguistico open source in grado di comporre un brano musicale partendo da un prompt di testo, con la possibilità di allinearlo a una melodia già esistente. Il funzionamento è molto simile a quello di ChatGpt, permettendo agli utenti di descrivere la musica che si vuole generare, fornendo indicazioni come “una canzone pop degli anni ’80 con batteria pesante e synth pad in sottofondo”. O, come riferito dal portale di settore The Decoder, combinando un prompt di testo come “una traccia EDM leggera e allegra con batteria sincopata, pad ariosi e forti emozioni, tempo: 130 BPM” alla celebre melodia “Toccata e fuga in Re minore” di Johann Sebastian Bach.

Twitter content

This content can also be viewed on the site it originates from.

Una volta inseriti i “comandi”, gli utenti non dovranno far altro che cliccare sul pulsante “Genera” per ottenere il brano musicale che si desiderano. Una funzionalità resa possibile grazie a una formazione attenta e accurata dell’AI di Meta, per cui il team di Audiocraft ha utilizzato ben 20.000 ore di musica di cui detiene i diritti, tra cui un set interno di 10.000 brani musicali di alta qualità, oltre a dati musicali mutuati da Shutterstock e Pond5. E per rendere più veloce il processo di generazione, i ricercatori hanno scelto di utilizzare il tokenizer audio EnCodec a 32Khz di Meta, che consente di generare blocchi di musica più piccoli, elaborabili anche in parallelo.

Insomma, Meta ha messo a punto uno strumento che può davvero rivelarsi utile per i compositori e i musicisti di ogni genere, dimostrandosi in grado di ottenere risultati migliori rispetto agli altri modelli musicali in circolazione Riffusion e Musai, o anche lo stesso MusicLM di Google. A quanto pare, MusicGen è in grado di produrre musica ben più vicina a quella richiesta dagli utenti con il prompt di testo, dimostrandosi di fatto più efficiente. E questo è solo il primo passo di Meta verso la conquista del settore.

Categorie
Tecnologia

L’algoritmo di Instagram ha promosso contenuti pedopornografici

Author: Wired

Meta torna a essere accusata di favorire la circolazione di contenuti pedopornografici. L’algoritmo di Instagram, secondo un’indagine del Wall Street Journal in collaborazione con i ricercatori della Stanford University e dell’università del Massachusetts – sta promuovendo la pedofilia, creando connessioni tra gli utenti che vendono foto e video di minori, attraverso un sistema di raccomandazione già noto per riuscire a collegare tra loro persone che hanno interessi di nicchia. Chiaramente la vendita di contenuti pedopornografici viola non solo la policy della piattaforma, ma anche la legge federale: questo ha portato Meta a istituire una task force interna che possa risolvere la questione.

Dopo le rivelazioni della testata, infatti, la società ha riferito di di aver bloccato migliaia di hashtag che sessualizzano i bambini – alcuni con milioni di post – e di aver impedito ai suoi sistemi di consigliare agli utenti di cercare termini noti per essere associati ad abusi sessuali. Un intervento a cui Meta ne aggiungerà molti altri nel prossimo futuro. Il fatto che un gruppo di ricercatori e giornalisti sia riuscito a trovare con grande facilità comunità che promuovono la pedofilia sulla piattaforma dimostra che Instagram deve affrontare un problema molto grosso. È bastato che l’account creato per le indagini visualizzasse un solo account collegato alla pedopornografia per essere subito “invaso” da suggerimenti che avevano a che fare con la vendita illegale di foto e video di minori.

La piattaforma più importante per queste reti di acquirenti e venditori sembra essere Instagram”, hanno dichiarato i ricercatori. A quanto pare, gli sforzi compiuti dalla società non bastano per arginare la diffusione di questi contenuti sulla piattaforma. Solo a gennaio, per esempio, Instagram ha rimosso 490mila account per aver violato la sua policy sulla sicurezza dei bambini, eppure già nei mesi successivi l’impatto di questa azione risultava ridotto. E se vi state chiedendo il perché, ecco la risposta. Prima che il Wall Street Journal sollevasse la questione, in realtà, Instagram consentiva agli utenti di cercare termini che i suoi stessi sistemi sapevano essere associati a materiale pedopornografico, seppur restituendo un messaggio che recitava “Questi risultati possono contenere immagini di abusi sessuali su minori”. Ora, a quanto pare, l’opzione è stata disabilitata, ma non è chiaro perché prima non lo fosse.

Inoltre, sembrerebbe che i tentativi degli utenti di segnalare contenuti pedopornografici venissero spesso ignorati dall’algoritmo di Instagram, che continuava a promuovere imperterrito gli account su cui venivano vendute le immagini di bambini sessualizzati. Insomma, Meta sta cercando di combattere qualcosa che il suo algoritmo si rifiuta di eliminare.