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Cercansi volontari per il deposito nucleare

Author: Wired

Si cercano volontari per il deposito delle scorie del nucleare. È questa la linea del ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, sulla cui scrivania è arrivata la lista aggiornata dei siti che hanno tutte le carte in regola per ospitare l’impianto dove stoccare 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità e parcheggiati temporaneamente 17mila ad alta intensità provenienti dalle quattro ex centrali e da altri impianti della filiera dell’atomo. La cosiddetta Carta nazionale delle aree idonee (Cnai), curata da Sogin, l’azienda pubblica incaricata dello smantellamento nucleare, è l’ultimo passaggio tecnico prima di avviare le selezione finale del luogo dove costruire il deposito delle scorie.

La situazione:

  1. Scorie? No, grazie
  2. Vengano avanti i candidati
  3. Iter da rifare

Scorie? No, grazie

L’iter prevede che, dalla rosa di siti ritenuti adatti, si faccia avanti un’auto-candidatura. Un’ipotesi remota, dato che, finora, tutti i territori papabili si sono tirati indietro o hanno promosso barricate. In una precedente versione della mappa, la Cnapi (Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee), pubblicata a gennaio 2021, Sogin aveva individuato 67 luoghi tra Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sicilia e Sardegna. Dodici di questi, tra le province di Torino, Alessandria e Viterbo, rispondevano a pieni voti ai criteri stabiliti dalla società pubblica. Tuttavia, nelle successive fasi di consultazione tra settembre e dicembre 2021), tutti i rappresentanti delle aree individuate hanno contestato le informazioni prodotte da Sogin, appellandosi a fattori come agricoltura di pregio, monumenti storici, infrastrutture critiche, falde acquifere o parchi per essere esclusi.

Sogin ha accolto oltre 600 osservazioni e rivisto la carta, che è rimbalzata tra il ministero dell’Ambiente, l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare (Isin), l’ente di vigilanza della filiera dell’atomo, e di nuovo al dicastero, dopo l’insediamento di Pichetto Fratin, prima di arrivare alla bozza che i tecnici della società hanno presentato a inizio luglio al ministro, in quota Forza Italia. Per quanto sul novero dei siti si mantenga il massimo riserbo, le fonti consultate da Wired sono concordi nell’affermare che, verosimilmente, nell’ultima versione della Cnai si troverà una rosa più circoscritta delle 67 aree precedenti, senza new entry. Il che prefigura una bella grana per il ministro Pichetto Fratin: dove le mettiamo le scorie, se nessuno dei potenziali candidati le vuole?

L'impianto Cemex a SaluggiaCi sono nuove grane con le scorie del nucleare italiano

La Francia non ritirerà più i nostri rifiuti radioattivi finché non decideremo dove e quando costruire un deposito nazionale. In Piemonte si ferma per la seconda volta il cantiere per mettere in sicurezza alcuni liquidi irraggiati. E il governo pensa a spostare i costi dello smantellamento dalle bollette al fisco generale

Vengano avanti i candidati

L’Italia non può perdere altro tempo a decidere: si è impegnata a riprendersi le 235 tonnellate di rifiuti atomici ad alta e media intensità che ha stoccato in Francia entro il 2025. Quando ha siglato l’accordo, il governo italiano contava di aver pronto il deposito delle le scorie. Invece è ancora alla ricerca della località dove costruirlo. Per questo il ministro vuole procedere con le auto-candidature. A maggio Pichetto Fratin ha detto che 3-4 Comuni si erano fatti avanti, nelle scorse ore ha affermato di non saperlo, ma di essere intenzionato a settembre a scrivere una norma per aprire ai volontari.

Di fatto oggi le regole prescrivono che la scelta debba essere fatta dentro il perimetro delle aree individuate da Sogin. L’intervento del ministero allargherebbe le maglie ad attori esclusi da questa selezione non tanto per criteri come il livello di rischio sismico o la vicinanza alle coste, ma per altri fattori. Per esempio, ricomprendendo aree sotto i 150 ettari (che è l’ampiezza minima usata da Sogin) o la presenza di aree industriali o militari dismesse. Certo, non basta che il sindaco alzi la mano per ritrovarsi il deposito delle scorie dietro casa. La candidatura dovrebbe passare da verifiche tecniche ed essere sottoposta a una valutazione ambientale strategica (Vas), una una procedura che si applica a taluni piani e programmi che possono avere impatti significativi sull’ambiente. E che richiede anni. Il ministero non ha risposto alla richiesta di commento di Wired.

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Iter da rifare

Insomma, vuol dire ripartire da zero. Dopo che la Cnapi di Sogin, pronta per la pubblicazione nel 2018, è stata diffusa solo nel 2021. E allungando i tempi di messa in esercizio del deposito. Si prevede un cantiere da 900 milioni di euro, quattromila operai e quattro anni di durata, per realizzare novanta costruzioni in calcestruzzo armato, dette le celle, che a loro volta conterranno i moduli in cemento, dove saranno collocati i contenitori di metallo con i rifiuti. Un sistema a matrioska per sigillarli per i successivi 300 anni. Nell’ultima previsione, l’apertura del deposito è stata prevista per il 2030. D’altronde, si ragiona al ministero, se già si sa che quello dei siti Cnai è un binario morto, ha senso insistere? Il ministero avrebbe il potere di imporre a una località la costruzione dell’impianto, che porterà in dote anche un parco tecnologico per la ricerca e lo studio sui rifiuti nucleari e, soprattutto, un ristoro economico da contrattare con Sogin, ma non è una mossa che piace a chi pensa di tornare all’incasso in tempo di elezioni.

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Nucleare, in Finlandia è partito il più grande reattore d’Europa

Author: Wired

L’Unione europea continua a dividersi sul nucleare. Se pochi giorni fa la chiusura in Germania degli ultimi tre reattori attivi aveva messo fine a 62 anni di produzione, altri paesi continuano a investire sull’atomo.

E così, oltre agli annunciati passi avanti ufficializzati, per esempio, anche da Enel con l’accordo di cooperazione sottoscritto con la società di tecnologie nucleari pulite Newcleo, il 16 aprile un segnale forte è arrivato dalla Finlandia, con l’inizio della produzione di energia nucleare da parte del reattore Olkiluoto 3, il terzo a essere aperto sull’omonima isola al largo della costa occidentale del paese scandinavo.

Si tratta di fatto di una data a suo modo storica, perché il lancio del reattore, che come ricorda Milano Finanza è il più grande d’Europa, era stato a lungo rinviato: l’apertura dell’impianto sarebbe infatti dovuta inizialmente avvenire nel 2009, ma è slittata a causa di ritardi legati alla progettazione e alla costruzione di dispositivi avanzati di sicurezza.

Secondo la società che lo gestirà, la Teollisuuden Voima Oyj (Tvo), il nuovo impianto da 1,6 gigawatt, che nell’ultimo anno ha prodotto energia in occasione di alcuni test, sarà capace di fornirne alla Finlandia per almeno 60 anni, producendo da solo quasi un terzo del totale fabbisogno del paese.

La produzione di Olkiluoto 3 – spiega l’ad di Tvo Jarmo Tanhuastabilizza il prezzo dell’elettricità e svolge un ruolo importante nella transizione verde finlandese“. Secondo il manager, la produzione di elettricità nel rispetto dell’ambiente rappresenta per la Finlandia una “carta vincente”.

Gli investimenti del paese scandinavo nel nucleare, insieme a quelli nell’energia idroelettrica e in quella eolica, vanno nella direzione della neutralità carbonica del paese. Una strada intrapresa già da tempo, che ha permesso alla Finlandia di non subire un contraccolpo in seguito all’invasione russa in Ucraina e alla scelta di Mosca di sospendere le forniture verso il paese di elettricità e gas, legata al rifiuto da parte del governo di Helsinki di pagarli in rubli.

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Nucleare, la Germania dice addio tra le polemiche

Author: Wired

Con la chiusura degli ultimi tre reattori nucleari attivi, Emsland, Isar2 e Neckarwestheim2, e considerata l’avanzata fase di disattivazione di altri 21 reattori sparsi sul territorio nazionale, il prossimo 15 aprile la Germania dirà definitivamente addio alla produzione di energia nucleare.

Lo stop non sembra però riguardare, secondo quanto riporta Il Sole 24 Ore, il dibattito sul tema che ha animato il paese dal 17 giugno 1961, giorno in cui fu attivata a Karlstein am Main la prima centrale nucleare tedesca, anzi. La crisi energetica lo ha addirittura inasprito, dividendo anche le forze interne alla coalizione semaforo formata da socialdemocratici, verdi e liberali, che governa il paese.

La chiusura delle tre centrali, inizialmente prevista per lo scorso 1 gennaio e poi slittata a metà aprile a causa della crisi scatenata dallo stop all’importazione di energia dalla Russia, mette infatti d’accordo Spd e Verdi, ma non trova il consenso dello FpD, che spinge per mantenerle attive, alla stregua di quanto stanno facendo dai banchi dell’opposizione i rappresentanti di Cdu-Csu.

In particolare, questi ultimi rimproverano al governo una certa incoerenza, sottolineando quanto sia più dannosa per l’ambiente la decisione di riaprire, seppur momentaneamente, le centrali elettriche alimentate a carbone e lignite, che aumentano le emissioni di anidride carbonica, mentre sopperire alla mancanza del gas russo ed evitare il razionamento dell’elettricità attraverso il mantenimento in attività dei tre reattori permetterebbe di non emettere gas serra.

Le annose polemiche sul nucleare non hanno risparmiato mai nessuno dei protagonisti della scena politica tedesca. Come ricorda Il Sole 24 Ore, nel 1986 la Germania reagì al disastro di Chernobyl dando vita al ministero dell’Ambiente. A cavallo tra il primo e il secondo decennio del nuovo secolo, era toccato invece ad Angela Merkel, la seconda cancelliera più longeva della storia del paese, esporsi sul tema. Nel 2008, Merkel respinse infatti le pressioni antinucleari degli alleati socialdemocratici. Dopo il disastro di Fukushima del marzo 2011, la cancelliera dovette però fare marcia indietro, scegliendo di accelerare l’uscita dal nucleare.

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Petrolio e gas, perché i colossi stanno chiedendo risarcimenti miliardari agli stati

Author: Wired

A proposito dell’entità dei rimborsi, si legge nel report:

Dal 2013 al 2018 l’Unione europea ha dovuto far fronte a un importo totale annuo medio di 5,5 miliardi di dollari: anche se le cause sono diminuite, gli importi medi si sono alzati. E in tutti gli altri paesi del mondo la media di richieste di risarcimento è arrivata a 25 miliardi di dollari all’anno a partire dal decennio scorso 

Su circa 620 miliardi di dollari richiesti dal 2000 tramite meccanismi Isds ne sono stati riconosciuti 96 miliardi a favore di investitori privati (9 da nazioni dell’Unione europea). Circa il 90% del totale degli Isds che hanno portato risarcimenti ad aziende nel mondo negli ultimi vent’anni ha riguardato progetti minerari ed estrattivi (77%), finanziari e assicurativi (7%), gas e approvvigionamento di energia elettrica (6%).

Il Trattato sulla carta dell’energia

Ogni Isds si basa quindi su un Ipa specifico: ad esempio, il Nafta (il famoso trattato di libero scambio nordamericano) è l’accordo che ha permesso a TransCanada di attivare un Isds per agire contro il provvedimento di stop all’oleodotto Keystone XL. Le cause via Isds che adesso stanno innescando più problemi alla transizione energetica sono legate al Trattato sulla carta dell’energia, l’Energy Charter Treaty (Cte). Come si legge nella risoluzione del Parlamento europeo citata in precedenza, oggi il Cte è l’accordo di investimento più controverso al mondo e che va urgentemente riformato: l’invito alla Commissione europea è poi di garantire che un Cte rivisto proibisca immediatamente agli investitori in combustibili fossili di citare in giudizio le parti contraenti per aver perseguito politiche di eliminazione graduale di queste fonti energetiche, in linea con gli impegni assunti nell’ambito dell’Accordo di Parigi. 

Ratificato da 50 paesi e firmato nel 1993, il Cte mira a proteggere gli investimenti energetici dei suoi aderenti. Se spesso in passato le controversie andavano a tutelare imprese europei in paesi extra-comunitari, da diversi anni sono le nazioni europee che sono diventate oggetto dei maxi-risarcimenti richiesti da aziende estrattive di tutto il mondo. Per questo, qualche mese fa e sull’onda della risoluzione del Parlamento europeo che metteva nel mirino soprattutto il Cte, la Polonia ha annunciato il ritiro dal Trattato e rapidamente l’hanno seguita Spagna, Francia, Germania, Slovenia e Paesi Bassi

Anche le ong in tribunale

La diffusione degli Isds innescati soprattutto per preservare di fatto l’estrazione di risorse fossili e non rinnovabili è un ostacolo enorme ai sempre troppo timidi tentativi delle nazioni di promuovere politiche climatiche. Al momento, si stima che sforeremo l’innalzamento dei gradi promesso alla Cop15 di Parigi: altro che 1,5, al momento andiamo dritti verso i +2,8 gradi. Per rientrare nei ranghi, dovremmo dimezzare l’estrazione di gas, petrolio e carbone da qui al 2050

incendiSe non salviamo il pianeta ora non ci riusciremo mai più

L’unico modo per scongiurare gli effetti catastrofici e irreversibili della crisi del clima è intervenire subito in modo deciso, come sottolinea l’ultimo rapporto dell’Onu

Così, anche alcune ong hanno cominciato ad usare i tribunali per forzare, in ottica “green”, le politiche nazionali: è quello che succede nelle Climate litigations, come Giudizio Universale. Oppure è il caso di Greenpeace, che ha portato in causa per la prima volta la Commissione europea per aver incluso il gas fossile e l’energia nucleare nella lista degli investimenti sostenibili della cosiddetta tassonomia verde. È anche il caso di ClientEarth, organizzazione non governativa e azionista di Shell, che ha portato in tribunale quest’ultima per non aver ancora redatto un piano che le consenta di rispettare gli obiettivi degli Accordi di Parigi. E sempre ClientEarth, insieme alla Lipu-Birdlife Italy, ha porta in causa la Ferrero per lo sfruttamento delle monocolture a nocciola in Lazio che sta depauperando la biodiversità locale, soprattutto nell’area del lago di Vico. Nella zona infatti, dopo 50 anni di coltivazioni intensive di oltre 21mila ettari a noccioli, le acque del lago registrano concentrazioni allarmanti di fitofarmaci e di sostanze chimiche di vario tipo. Sostanze che finiscono anche nelle acque potabili delle aree limitrofe. Un altro esempio di come la battaglia climatica e per la tutela della biodiversità trovi sempre più spazio nelle aule dei tribunali.

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Ucraina, com’è la situazione nella centrale nucleare di Zaporizhzhia

Author: Wired

Le condizioni della più grande centrale nucleare d’Europa, nella città ucraina di Zaporizhzhia, sono sempre più critiche a causa dell’intensificarsi delle attività militari. Il pericolo maggiore è quello che un colpo diretto o un guasto ai sistemi di sicurezza possano causare incidente nucleare che non risparmierà nessuno. Sono queste le preoccupanti valutazioni di Rafael Grossi, direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea), a conclusione della sua seconda missione presso la centrale.

L’impianto atomico si trova sulla sponda meridionale del fiume Dnipro, che taglia a metà l’Ucraina passando per Kyiv prima di sfociare nel mar Nero, e oggi rappresenta la linea del fronte nel suo ultimo tratto, da Zaporizhzhia a Kherson. Se l’omonima città è ancora sotto il controllo ucraino, la parte sud orientale della regione è occupata dalle forze russe dall’inizio dell’invasione, che hanno conquistato la centrale un anno fa, assumendone il controllo e usandola per attaccare le posizioni dell’esercito di Kyiv al di là del fiume.

L’Aiea monitora la situazione nella centrale dallo scorso settembre, con squadre di scienziati che a turno presidiano l’impianto, per assicurarne il corretto funzionamento e ridurre i rischi posti dai continui blackout e dalla carenza di personale, dopo l’evacuazione di tre quarti dei lavoratori ucraini e lo stato di elevato stress e stanchezza a cui sono costretti quelli rimasti, sottoposti a continue violenze e minacce da parte degli occupanti russi.

Con l’intensificarsi dei combattimenti nell’area, tra offensive russe e controffensive ucraine, il capo dell’Agenzia ha deciso di tornare personalmente a verificare le condizioni della centrale, cogliendo l’occasione di accompagnare la nuova squadra di scienziati che resterà nell’impianto per i prossimi due mesi. L’arrivo del gruppo precedente, a febbraio, era stato rallentato dalle condizioni particolarmente pericolose della zona, che hanno aumentato le preoccupazioni dell’Aiea.

“È ovvio che l’attività militare sta aumentando in tutta la regione. Si parla apertamente di offensive e controffensive. Quest’area sta affrontando forse la fase più pericolosa dall’inizio del conflitto ha detto Grossi, sottolineando come sia vitale trovarsi “d’accordo sul principio fondamentale che una centrale nucleare non dovrebbe essere attaccata in nessuna circostanza, né essere usata per attaccare altri“.

Per ridurre i pericoli, tutti e sei i reattori della centrale sono stati spenti, ma due restano in quello che si chiama “arresto caldo”, per continuare a fornire una limitata quantità di energia e alimentare i sistemi di sicurezza e di riscaldamento. Ma nonostante queste precauzioni, secondo Grossi la situazione non è sostenibile e la Russia dovrebbe accettare di ritirare il presidio militare della centrale e istituire una area di non combattimento attorno all’impianto.