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L’Italia ha incassato 390 milioni dalla web tax

Author: Wired

Nel 2022 l’imposta sui servizi digitali (Digital service tax), la web tax italiana, ha portato nelle casse dello stato un gettito di circa 390 milioni di euro. La cifra è contenuta nella risposta del ministero dell’Economia e delle finanze (Mef) a una interrogazione posta dal deputato grillino Emiliano Fenu in commissione Finanze alla Camera.

In particolare, l’80% della somma totale è stato generato da imprese straniere, mentre tra le voci che determinano l’imposizione fiscale, ovvero pubblicità online, servizi di intermediazione tra utenti, trasmissione dati degli utenti, la fonte principale del gettito creato è stata la prima.

Questi dati, aggiornati al 20 luglio scorso, segnano per il 2022 un risultato superiore di 92 milioni di euro rispetto al 2021. Anno in cui peraltro era stata registrata una quota già maggiore rispetto al 2020, quando gli introiti da web tax si erano fermati a 240 milioni.

Esclusi i dichiaranti italiani, che sono in tutto 48, sono gli Stati Uniti il paese più rappresentato: sono stati infatti 45 i soggetti a stelle e strisce raggiunti dall’imposta, per un ammontare totale di 34 milioni di euro. Gli Usa non sono però i maggiori contributori, perché il gettito più alto, pari a quasi 130 milioni, è arrivato dall’Irlanda, paese in cui hanno sede numerosi colossi del web.

Come funziona la web tax

Come è spiegato sul sito dell’Agenzia delle Entrate, “l’imposta sui servizi digitali si applica nella misura del 3% sui ricavi derivanti dalla fornitura” di alcuni servizi e riguarda “la pubblicità digitale su siti e social network, l’accesso alle piattaforme digitali, i corrispettivi percepiti dai gestori di tali piattaforme, e anche la trasmissione di dati ‘presi’ dagli utenti”.

Un ricavo – si legge ancora – è imponibile se l’utente del servizio digitale è localizzato nel territorio dello Stato. Per i servizi di pubblicità online, l’utente si considera localizzato nel territorio dello Stato se la pubblicità appare sul proprio dispositivo nel momento in cui è utilizzato nel territorio dello Stato. La localizzazione nel territorio italiano del dispositivo è determinata sulla base dell’indirizzo IP dello stesso”.

Sono chiamati a pagare l’imposta gli esercenti attività d’impresa che realizzano “ovunque nel mondo, singolarmente o congiuntamente a livello di gruppo, un ammontare complessivo di ricavi non inferiore a 750 milioni di euro” e incassano in Italia non meno di 5,5 milioni. I versamenti devono essere effettuati entro il 16 maggio di ogni anno.

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Cosa vuol dire che gli Stati Uniti sono a rischio default

Author: Wired

O gli Stati Uniti alzeranno il tetto del debito, o altrimenti il rischio concreto potrebbe essere quello di dichiarare default entro l’inizio di giugno, probabilmente già il primo giugno. È questo il sunto della lettera inviata lo scorso 16 maggio dalla segretaria al Tesoro Janet Yellen ai membri del Congresso.

La nuova missiva segue a distanza di sole due settimane la precedente, nella quale la segretaria annunciava ai componenti dell’organo legislativo federale quanto fosse necessario “alzare o sospendere il tetto” al più presto, affermando però allo stesso tempo di non essere in grado di prevedere date limite certe. Adesso invece lo spauracchio default ha assunto connotati ben delineati.

Stimiamo ancora – scrive Yellen – che il Tesoro probabilmente non sarà più in grado di soddisfare tutti gli obblighi del governo se il Congresso non avrà agito per aumentare o sospendere il tetto del debito entro l’inizio di giugno, e potenzialmente già l’1 giugno. Queste stime si basano sui dati attualmente disponibili. Le entrate, le spese e il debito federali potrebbero variare da queste stime. La data effettiva in cui il Tesoro esaurirà le misure straordinarie potrebbe arrivare anche alcuni giorni o settimane dopo rispetto a queste stime”.

Fornirò – aggiunge – un ulteriore aggiornamento al Congresso la prossima settimana, non appena saranno disponibili ulteriori informazioni”. Già dall’inizio dell’anno il dipartimento del Tesoro statunitense sta adottando misure contabili speciali per rimanere entro il tetto del debito attualmente previsto dalla legge, pari a 31.400 miliardi di dollari, mentre, come era prevedibile, sul tema il dibattito politico è molto vivo. Come riporta Il Sole 24 Ore, i repubblicani spingono per tagliare la spesa in maniera decisa, mentre i democratici preferirebbero muoversi diversamente.

Intanto, a preoccupare Yellen è l’impatto che questa situazione sta avendo e potrebbe avere su imprese e famiglie statunitensi. “Abbiamo appreso dalle passate impasse del limite del debito – scrive ancora – che aspettare fino all’ultimo minuto per sospendere o aumentare il tetto del debito può causare gravi danni alla fiducia delle imprese e dei consumatori, aumentare i costi di prestito a breve termine per i contribuenti e avere un impatto negativo sul rating del credito degli Stati Uniti”.

Se il Congresso non riuscisse ad aumentare il tetto del debito – conclude – causerebbe gravi difficoltà alle famiglie americane, danneggerebbe la nostra posizione di leadership globale e solleverebbe interrogativi sulla nostra capacità di difendere i nostri interessi di sicurezza nazionale”. Una rassicurazione per la segretaria è arrivata direttamente dal presidente Joe Biden, come riporta l’agenzia Ansa: “Sono fiducioso – ha dichiarato prima di volare in Giappone per il G7 – che avremo un accordo sul bilancio e che l’America non farà default. Stiamo unendoci perché non ci sono alternative, sarebbe catastrofico se gli Usa non pagassero i loro debiti“.

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Elezioni regionali Lombardia: i programmi dei candidati per il lavoro e le imprese

Author: Wired

L’impegno, se dovesse essere eletta, riguarda anche l’introduzione di “una disciplina chiara e completa sullo smart working e diritto alla disconnessione del lavoratore, creando nuove connessioni con servizi pubblici e lavoratore”, “affrontare con strategie mirate il fenomeno della denatalità”, Studiare un assegno unico regionale per i figli”, “Investire sulla formazione professionale e sulla riqualificazione”, “fare squadra e mettere a sistema gli enti del comparto industriale”. Per le imprese, visti i tempi, Moratti vuole favorire l’indipendenza energetica delle pmi – stoccare l’energia prodotta e riutilizzarla anziché rivenderla a prezzo di listino”, ma anche spingere per una “digitalizzazione e uno snellimento del rapporto fra Pubblica amministrazione e imprese” unito al “supporto all’accesso credito di micro e piccole imprese”. Per i giovani imprenditori in programma anche “una formazione specifica”.

Pierfrancesco Majorino col centrosinistra e il Movimento 5 Stelle

Il candidato del centrosinistra e del M5s parla subito di pari opportunità “Servono nuove iniziative a sostegno dell’imprenditoria femminile” ma anche di promozione per l’innovazione nelle imprese lombarde, grazie all’ aumento “degli investimenti pubblici e privati in ricerca & sviluppo”, portando la spesa “dall’attuale 1,3% al 3% del Pil”, insieme a una nuova stagione “di investimenti pubblici e privati, favorendo il trasferimento dalle università alle pmi”. Un occhio di riguardo anche alle startup innovative, tramite “l’abbattimento totale dell’Irap per i primi 3 anni di attività e costituzione di un fondo regionale di co-investimento che raddoppi gli investimenti effettuati da investitori privati”

Guardando l’esempio dell’Emilia Romagna Majorino vuole realizzare, con le parti sociali e gli enti locali, “un grande Patto per il lavoro e il clima”, mettendo al centro “il lavoro dei giovani spezzando l’abuso nell’utilizzo degli stage”. Come? Potenziando “l’apprendistato, rendendolo progressivo, rafforzando la decontribuzione nazionale prevista dalla legge di stabilità e diminuendo la burocrazia necessaria per l’attivazione”, incrementando “le decontribuzioni statali per le assunzioni a tempo indeterminato, specie se legate a progetti di innovazione e trasformazione digitale”

E aggiunge misure “per impedire l’abuso dei finti tirocini e aumentare la retribuzione minima per  gli stage ad almeno 800 euro al mese”. Punti anche per la libera professione, attraverso un aumento delle “tutele e opportunità a favore di freelance e partite Iva, a partire dall’accesso dei professionisti alla formazione continua”. Nei bandi pubblici Majorino punta “all’istituzione di un salario minimo a tutela del lavoro”. Per monitorare l’andamento del settore verrà istituito “un osservatorio sui salari in Lombardia, sostenendo il salario minimo e contrastando la disparità salariale tra generi”. Contro i Neet verrà implementato un sistema di orientamento e la costruzione di un catalogo permanente di brevi corsi di qualificazione professionale per i Neet maggiorenni”.

Mara Ghidorzi per Unione popolare

Per il lavoro la candidata per Unione popolare nel suo programma propone “l’emanazione di direttive più restrittive in materia di sicurezza sul lavoro”, il rafforzamento “delle attività di controllo diretto della sicurezza sul lavoro nelle aziende”, e “degli strumenti di sostegno al reddito, di contrasto alla povertà e al caro bollette” e degli “strumenti normativi e finanziari per tutelare i posti di lavoro nelle crisi aziendali”

Ghidorzi vuole disincentivare le delocalizzazioni vincolando le imprese alla restituzione di eventuali finanziamenti ottenuti” e potenziare “i centri per l’impiego pubblici con eliminazione del sistema a Dote e di accreditamento delle agenzie private”, oltre a un piano di assunzione da 20.000 posti a partire da welfare, sanità, trasporti e sicurezza sul lavoro”. Tra i punti anche quello che prevede di “subordinare la concessione a privati di appalti o finanziamenti alla previsione di un salario minimo non inferiore a 10 euro da rivalutare annualmente e al rafforzamento dei controlli sulla sicurezza sul lavoro” e “per la concessione di finanziamenti a privati, dare punteggi aggiuntivi in caso di riduzione dell’orario lavorativo e di esclusione di forme contrattuali atipiche diverse dal contratto a tempo indeterminato”.

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Sciopero dei benzinai il 25 e 26 gennaio: confermato

Author: Wired

Il tavolo tecnico dell’esecutivo per scongiurare lo sciopero dei benzinai è fallito. Così le organizzazioni degli esercenti, dopo un momentaneo congelamento, hanno confermato l’agitazione su tutto il territorio nazionale durante le intere giornate del 25 e del 26 gennaio 2023. I gestori stanno criticando le scelte del governo Meloni, il decreto carburanti e l’istruttoria dell’Antitrust sulle speculazioni, ma sono rimasti aperti a bloccare lo sciopero anche un minuto prima del suo inizio, nel caso il governo dovesse sospendere alcune parti del decreto.

Una stazione di servizioLe nuove regole sul prezzo di benzina e diesel

Il governo Meloni ha imposto ai distributori di esporre il prezzo medio giornaliero del carburante a fianco a quello praticato da loro. Rinnovati i buoni benzina per i dipendenti

La questione accise

L’accusa dei rappresentanti di categoria Fegica e Figisc/Anisa al governo Meloni è di giocare allo scaricabarile sull’aumento dei prezzi del carburante, innescato dalla decisione dell’esecutivo di non finanziare più il taglio delle accise voluto dal governo Draghi, che in questo modo ha provocato un’impennata record dei costi per il carburante alla pompa di benzina. A seguito dei rincari, infatti, diversi esponenti della maggioranza hanno puntato il dito contro le speculazioni dei gestori dei benzinai, sostenendo che l’aumento dei prezzi derivasse da loro scelte personali. 

Le categorie hanno poi alzato le barricate anche a causa dell’istruttoria avviata dall’Antitrust per indagare sui petrolieri. Aperta non per verificare loro eventuali responsabilità speculative nell’aumento dei prezzi, ma per non aver vigilato sui benzinai, dopo aver riscontrato irregolarità per l’applicazione alla pompa di un prezzo diverso da quello pubblicizzato e per l’omessa comunicazione dei prezzi sul portale Osservaprezzi carburanti.

Un uomo con delle banconote in mano in una stazione di servizio4 app e siti per controllare i prezzi di benzina e diesel

Da quello ufficiale del governo alle funzioni di Google Maps, ecco 4 applicazioni utili per tenere sotto controllo i costi del carburante al distributore

Prezzi e multe

Inoltre, i benzinai stanno contestando fortemente il decreto carburanti del governo Meloni, a causa delle sanzioni da 6mila euro per gli esercenti che non rispettino l’obbligo di esporre i prezzi medi regionali. Per le organizzazioni si tratterebbe di multe sproporzionate, pari alla vendita di 180 mila litri di benzina, cioè a circa sei settimane di lavoro, secondo Bruno Bearzi, presidente della Federazione italiana gestori impianti stradali carburanti.

Su Rai News 24, Bearzi ha poi incalzato riguardo allo sciopero dei benzinai sostenendo come le sanzioni non facciano deterrenza e che i cartelli con i prezzi medi sarebbero “inutili”, “dannosi” e dovrebbero “al massimo essere tarati sull’area circostante e non a livello regionale. In più, le sanzioni potrebbero “arrivare anche alla risoluzione del contratto” e quindi a una “richiesta di danni da parte della compagnia petrolifera”, che potrebbe poi portare “alla chiusura dell’azienda di distribuzione”.

Hanno invece protestato contro le dichiarazioni dei benzinai le associazioni dei consumatori. Come si legge sempre su Rai News 24, Furio Truzzi, presidente di Assoutenti ha spiegato che denunciare le anomalie che si registrano nei prezzi dei carburanti non è gettare fango sulla categoria, così come non è un insulto chiedere più trasparenza in favore dei consumatori. Non capiamo il nesso tra la sacrosanta indagine aperta dall’Antitrust sulle irregolarità relative all’esposizione dei prezzi al pubblico, che dovrebbero essere contestate dagli stessi gestori, e lo sciopero della categoria”.

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Pos, quanto costa a una impresa

Author: Wired

In generale, il confronto tra il 2017 e il 2022 delinea un drastico calo dei costi fissi dei pos in Italia. Rispetto a cinque anni fa, la spesa media iniziale si è abbassata di circa 49 euro, quella media mensile si è ridotta di quasi 10 euro.

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni Pos e pagamenti, pensioni, bollette: le ultime novità della finanziaria

La prima manovra del governo Meloni ha ottenuto il via libera della Ragioneria di Stato e la firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con alcune modifiche rispetto all’ultima bozza. Ecco quali

Le commissioni

Lo studio condotto dall’Osservatorio ConfrontaConti.it e Sostariffe.it dimostra che anche le commissioni, da sempre lo spauracchio di chi si lamenta del pos, sono state protagoniste di un grande calo. Considerando le carte di pagamento che utilizzano il circuito PagoBancomat, per esempio, si registra una commissione media pari all’1,23%. Un dato nettamente inferiore a quello rilevato nel 2017, pari all’1,92%. In questo caso, le commissioni più convenienti sono quelle collegate agli apparecchi fissi, che si attestano su una media dell’1,01%.

Anche i pagamenti con carte che utilizzano altri circuiti fanno segnare una evidente tendenza al ribasso per quanto riguarda le commissioni applicate, con una commissione media dell’1,35%, contro il 2,56% del 2017

Riguardo alle commissioni, il pagamento tramite pos fisso rimane la scelta più conveniente per gli esercenti, con una commissione media pari all’1,12%, contro l’1,4% richiesto per un pos mobile.

L’introduzione delle sanzioni

Lo studio dell’osservatorio ha valutato anche l’impatto sui costi del pos dell’introduzione delle sanzioni dello scorso giugno e come essi siano cambiati a dicembre, con il nuovo governo impegnato a eliminarle sotto una certa soglia. 

Se ad agosto la spesa iniziale richiesta per il pos era di circa 23 euro e il canone medio mensile era pari a poco più di 6 euro, a dicembre i due dati sono aumentati rispettivamente del 21 e del 44%. Di contro, le commissioni sono invece calate: per il circuito PagoBancomat sono passate dall’1,45 all’1,23%; per le carte di altri circuiti addirittura dall’1,73 all’1,35%.

Le simulazioni

L’osservatorio ha realizzato una serie di simulazioni per quantificare il calo percentuale registrato dalla spesa media da sostenere per l’utilizzo di un pos per esercenti e professionisti, prendendo in considerazione tre diversi profili: il libero professionista che registra poche transazioni annue ma di importo medio più elevato; il negoziante che vende prodotti al dettaglio e che registra più transazioni ma di importo medio inferiore; il ristoratore che fa segnare un numero molto elevato di transazioni con un importo medio ridotto.

Per il primo, si registra un calo sostanziale della spesa legata all’utilizzo del pos. Il risparmio va da un minimo del 38% nel caso di utilizzo di un pos mobile con transazioni effettuate solo tramite circuito PagoBancomat a un massimo del 64% utilizzando pos fisso e transazioni con altre carte.

Percentuali identiche si registrano nel secondo e nel terzo caso, con un risparmio atteso tra il 33 e il 61%