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Il processo per i deepfake porno con il volto di Giorgia Meloni

Author: Wired

Due persone sono finite a processo per aver diffuso online alcuni video pornografici deepfake in cui appariva il volto della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. I contenuti manipolati in questo modo sono aumentati di oltre il 400% negli ultimi anni, prendendo quasi sempre come vittime donne più o meno famose, tra cui Meloni. La presidente ha chiesto un risarcimento di 100mila euro, che ha promesso di destinare a un fondo per le donne vittime di violenza.

Come riporta la campagna Ban Deepfakes, i contenuti sessualmente espliciti realizzati con le manipolazioni grafiche colpiscono in modo particolare le donne. Oltre per questi contenuti, i deepfake vengono usati anche per portare a termine vere e proprie truffe, che possono avere come obiettivo la manipolazione psicologica delle persone sia a fini politici che economici.

I video deepfake di Meloni

Nel caso di Meloni, i video sarebbero stati pubblicati da due uomini, di 73 anni e 40 anni, rispettivamente padre e figlio, su siti pornografici statunitensi dove sono stati visti milioni di volte in diversi mesi, spingendo la leader di Fratelli d’Italia a denunciare i fatti. Le indagini sono cominciate nel 2020 e i due responsabili sono stati trovati tramite l’identificazione dello smartphone da cui sarebbero stati caricati i video incriminati.

I due sono stati accusati di diffamazione e diffusione di materiale pornografico contraffatto e potrebbero rischiare una sanzione penale. Meloni sarà chiamata a testimoniare sul caso a Sassari, il prossimo 2 luglio. Il team legale della presidente del Consiglio ha dichiarato che la somma richiesta in risarcimento è puramente simbolica e volta a lanciare un messaggio a tutte le donne vittime di questi abuso affinché sporgano denuncia.

Nel 2023 Wired Uk ha rilanciato una ricerca che identificava 35 diversi siti web che ospitano video pornografici deepfake o che incorporano i video insieme ad altro materiale per adulti. È emerso che il materiale è facilmente raggiungibile online attraverso i principali motori di ricerca.

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Economia Tecnologia

L’Italia è uno dei paesi con meno startup per abitanti

Author: Wired

L’Italia occupa il decimo posto nella speciale classifica dei paesi Ocse con il minor numero di startup ogni 100mila abitanti. Lo certifica una delle graduatorie elaborate dal team di Utility Bidder per il progetto “Entrepreneurial Countries Index”, un vero e proprio studio effettuato dalla società di ricerca fondata nel 2009 da James Longley per stabilire quali siano le nazioni migliori per gli imprenditori.

In particolare, nel nostro paese ci sono solo 1,6 startup per ogni centinaio di migliaia di abitanti, 958 su 58,8 milioni di cittadini. Un dato per niente lusinghiero, che ci pone appena dietro la Repubblica Ceca, in cui le startup sono 153 su circa 10,5 milioni di abitanti (1,5 ogni 100mila). Al settimo posto, a pari merito, si trovano invece la Slovacchia (77 startup su circa 5,8 milioni di abitanti) e la Polonia (522 su 40,7 milioni), ferme a quota 1,3. Sesta la Colombia, con una startup ogni 100mila abitanti (531 su 52,2 milioni).

I primi cinque paesi di questa speciale classifica sommano addirittura meno di una startup per ogni centinaio di migliaia di abitanti. Quarte a pari merito ci sono la Turchia (580 su circa 86 milioni di abitanti) e la Corea del Sud (347 su circa 51,8 milioni), ferme a 0,7. Seconde il Giappone (608 su 123 milioni) e la Costa Rica (24 su 5,2 milioni) con 0,5.

Il peggiore di tutti i paesi Ocse è il Messico: nello Stato centroamericano le startup sono appena 550 a fronte di quasi 129 milioni di abitanti. Un dato che si traduce in 0,4 startup ogni 100mila messicani. Sono invece gli Stati Uniti la nazione più virtuosa, con 22,6 startup ogni 100mila abitanti. Di queste, solo il 76,8% sopravvive tuttavia al primo anno di vita (settimo tasso più basso).

Lo studio di Utility Bidder ha permesso di rilevare anche altri dati. Per esempio, la Svizzera si è rivelata la nazione che meglio rappresenta l’imprenditorialità, con un punteggio imprenditoriale di 8,51. La Colombia ha fatto registrare nel 2022/23 l’aliquota fiscale sulle società più alta nell’Ocse, pari al 35%, mentre l’Ungheria quella più bassa (9%).

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Economia Tecnologia

Arriva l’alternativa al 730

Author: Wired

I contribuenti italiani diranno presto trovare una alternativa al 730. L’Agenzia delle entrate da quest’anno, e quindi per l’anno d’imposta 2023, metterà a disposizione dei cittadini anche un modello di dichiarazione precompilata “semplificato”. Lo riporta Il Messaggero, specificando che tale modalità non prevedrà riquadri da riempire, codici tributo da memorizzare o complicate istruzioni, ma solo una sorta di questionario basato sulle informazioni già a disposizione del fisco.

Con l’introduzione per adesso sperimentale del nuovo meccanismo, “il contribuente – ha spiegato il direttore dell’Agenzia Ernesto Maria Ruffini in una memoria consegnata dalla stessa agenzia alla commissione Finanze e Tesoro del senato qualche giorno fa – potrà verificare, ed eventualmente integrare, le informazioni di dettaglio proposte dall’Agenzia nell’applicativo web dedicato alla dichiarazione precompilata, con un percorso guidato, che non richiede l’individuazione dei campi del modello dichiarativo, e con un linguaggio semplificato”. Servirà un via libera del Garante della privacy all’uso delle informazioni per la versione alternativa del 730.

Il funzionamento (per ora)

Il sistema chiederà per esempio al contribuente se ha sostenuto una determinata spesa sanitaria, se sta pagando un certo mutuo, se ha sostenuto spese per ristrutturare un proprio immobile. Tutti i dati ricavati di conseguenza saranno inseriti automaticamente nei campi corrispondenti della dichiarazione. Nel corso della procedura guidata, appositi avvisi faranno sì che il contribuente sia consapevole di star confermando o modificando le informazioni proposte dall’agenzia.

La sperimentazione della nuova modalità affiancherà almeno per quest’anno la classica dichiarazione dei redditi precompilata. In questo senso, sarà data libertà ai cittadini di scegliere quale sistema utilizzare. D’altronde da quando è partita nel 2015, la precompilata ha avuto un successo crescente, più che triplicando le trasmissioni dirette (da 1,4 a 4,5 milioni). I dati utilizzati sono invece passati da 157 milioni a 1,3 miliardi (più di uno dei quali rappresentato dai dati relativi alle spese sanitarie).

Una grande novità riguarderà infine quest’anno le partite Iva: la dichiarazione dei redditi precompilata sarà disponibile per la prima volta anche per i contribuenti sotto tale regime.

Cos’è il 730

Il 730 è il modello per la dichiarazione dei redditi che è destinato ai lavoratori dipendenti e ai pensionati. Il modello 730 non richiede che il contribuente effettui calcoli. E prevede che il rimborso dell’imposta avvenga direttamente nella busta paga o nella rata di pensione, o, se deve versare una somma al fisco, che questa sia trattenuta dalla retribuzione o dalla pensione.

Secondo quanto scrive l’Agenzia delle entrate sul suo sito, “possono utilizzare il modello 730 i contribuenti che nel 2023 hanno percepito: redditi di lavoro dipendente e redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente (per esempio contratti di lavoro a progetto); redditi dei terreni e dei fabbricati; redditi di capitale; redditi di lavoro autonomo per i quali non è richiesta la partita Iva (per esempio prestazioni di lavoro autonomo non esercitate abitualmente); redditi diversi (per esempio, redditi di terreni e fabbricati situati all’estero); alcuni dei redditi assoggettabili a tassazione separata (per esempio, i redditi percepiti dagli eredi – a esclusione dei redditi fondiari, d’impresa e derivanti dall’esercizio di arti e professioni); redditi di capitale di fonte estera, diversi da quelli che concorrono a formare il reddito complessivo, percepiti direttamente dal contribuente senza l’intervento di intermediari residenti”.

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Economia Tecnologia

L’azienda che vuole produrre in Italia i materiali per le batterie

Author: Wired

Porto Marghera – Ripartire dai sali. Quelli di litio, estratti attraverso procedimenti chimici da più di 70 anni dall’azienda Alkeemia. E così purificare la grafite naturale, come anche sviluppare la nuova tecnologia al sodio per le batterie. Qui dove le nebbie di Porto Marghera sono rimaste ombre di un passato glorioso, fatto di ricerca e industria, l’azienda italiana guidata dall’ad Lorenzo Di Donato progetta un orizzonte chiaro: realizzare la prima piattaforma continentale di materie prime per l’energy storage. Si ricomincia da un luogo tristemente noto per gli incidenti ma anche famoso per la presenza del petrolchimico che per decenni è stato un’avanguardia europea nella produzione di materiali derivati.

Le competenze, quindi, ci sono. “Siamo una delle sei aziende in Europa impegnate nella chimica del fluoro e siamo i leader europei. Il nostro mercato è sempre stato in equilibrio, data la natura estremamente tecnica dell’approvvigionamento di acido fluoridrico. Ma questo equilibrio è destinato ad infrangersi e sarà interrotto dalla produzione degli energy storage perché circa il 15% per massa di ogni batteria contiene prodotti fluorati che quindi hanno direttamente o indirettamente presenza di fluoro. Ma la competenza industriale non è facilmente sostituibile, perché l’acido fluoridrico è un prodotto molto pericoloso da gestire e produrre, dice Di Donato.

Dato che gli acidi fluorati sono alla base della produzione di batterie, si potrebbe costruire un luogo di sviluppo di tutta la componentistica dei materiali per le batterie. ⁠Ecco anche perché Alkeemia sta organizzando la seconda edizione del Battery Forum con i maggiori player del settore a livello mondiale, con lo scopo di aggregare nuovi attori lungo una filiera tutta da costruire ma che sarebbe per ora unica nel Vecchio continente. E quanto mai necessaria, viste le sfide di approvvigionamento imposte dalla transizione ecologica.

Lo stabilimento di Alkeemia

Lo stabilimento di AlkeemiaAlkeemia

Sali di litio e grafite per le nuove batterie elettriche

Grande attenzione alla ricerca e investimenti importanti per incrementare il volume della produzione industriale. Sono questi i driver di sviluppo su cui sta puntando l’azienda di Porto Marghera. Oggi conta 100 dipendenti ma da circa un anno ha aperto un’unità di ricerca dedicata agli sviluppi dei propri prodotti originali a servizio dei materiali per le batterie. Diversi ricercatori sono stati assunti e altri stanno arrivando (due dal Giappone). Obiettivo è crescere nella produzione di materiali utili per la composizione delle batterie elettriche.

“Innanzitutto, i sali di litio – spiega Lorenzo Orsini, direttore ricerca e sviluppo di Alkeemia -. Stiamo sviluppando tecnologie per introdurre il fluoro in una molecola, si chiama fluorizzazione selettiva, e ci torna utile per applicazioni in elettronica e farmaceutica. Con la ricerca intendiamo ampliare la nostra expertise sulla chimica del fluoro, realizzando elementi che conferiscono caratteristiche particolari ai prodotti. Così creiamo il sale di litio per eccellenza, per poi produrre additivi particolari, sempre a base di fluoro, che sono utili per le batterie elettriche ad alta performance”.

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Tecnologia

La Grande Bellezza e i 10 anni di un Oscar che continua a dividere

Author: Wired

La Grande Bellezza fa discutere ancora oggi, persino più de La Vita è Bella di Roberto Benigni, che ha perso molti estimatori soprattutto per il risentimento di natura politica verso il comico toscano. Esattamente 10 anni fa Paolo Sorrentino era sul palco dell’Academy, assieme a Toni Servillo, con in mano l’Oscar come Miglior Film Straniero. Rigraziava Diego Armando Maradona, ed entrava nella storia del nostro cinema con un film potente, struggente, divisivo ma capace di diventare istantanea di un paese completamente allo sbando.

Un film capace di porsi a metà tra memoria e innovazione

La Grande Bellezza fu presentato in concorso al 66° Festival di Cannes, dove risultò il classico film capace di rimarcare la differenza tra la critica italiana e quella internazionale. Paolo Sorrentino godeva già di grande considerazione, con film come L’Uomo in Più, Le Conseguenze dell’Amore, Il Divo, This Must Be The Place, si era guadagnato l’attenzione nazionale e infine internazionale, in virtù di un’originalità di narrazione e sguardo assolutamente inedite. La Grande Bellezza a molti critici italiani però non piacque. Fu definito tanto lussureggiante e barocco, quanto freddo, furbo, manieristico, ma soprattutto presuntuoso, per la volontà di porsi come una sorta di seguito de La Dolce Vita di Fellini o di connettersi a La Terrazza di Ettore Scola. Soprattutto, ancora oggi molti lo collegano a La Vita è Bella di Benigni, lo vedono come un’opera cinematografica fatta a tavolino per piacere agli americani e all’Academy.

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Io Capitano di Matteo Garrone nella cinquina del miglior film internazionale, la conferma di Oppenheimer e le altre candidature

Roma, ma anche l’Italia e gli italiani qui mostrati – si sostenne da parte di alcuni allora e si sostiene tuttora- sono gli stessi di tante narrazioni ad uso e consumo del turismo cinematografico e degli stereotipi; anzi l’insieme era persino peggiore, visto che eravamo descritti come esseri mediocri, festaioli, decadenti e amorali, senza speranza o redenzione. Ma la realtà è che se ancora oggi La Grande Bellezza trova ostilità questo forse è da vedere come un grande pregio, come un attestato della verità in esso contenuta, della capacità da parte di Paolo Sorrentino di creare un’opera che non era semplicemente sintomatica di un cambiamento della nostra società, ma anche di una realtà che non volevamo ammettere. Jep Gambardella, la sua Odissea, erano giocoforza anche la cronaca schietta e spietata della caduta di quell’impero chiamato berlusconismo e di quanto male ci aveva causato, della deformazione che aveva creato nel nostro corpo, di cui Roma diventa la grande metafora.

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Il regista di Gomorra è per la prima volta in gara a Venezia con un film di cui si parlerà a lungo. Da oggi nei cinema italiani

Toni Servillo ci appare come un Marcello Mastroianni cinicamente disincantato, ma in realtà aggrappato ai ricordi e al tema della memoria. Armato dei bellissimi costumi di Daniela Ciancio, dandy partenopeo trapiantato a Roma, Jep Gambardella più che scrivere, passa la sua vita tra una festa e l’altra. Questo strano ma astuto giornalista, è un sopravvissuto a sé stesso, alle sue speranze e sogni di gioventù; il suo narcisismo, la sua vanità da don Giovanni stagionato, il suo aggirarsi nella mondanità con fare disinvolto e divertito, nascondono un dramma interiore profondo. In lui La Grande Bellezza vede un uomo che è conscio di aver sprecato un talento, quello di scrittore, venendo inghiottito in una Roma volgare, ipocrita, ridicola eppur feroce, da cui però infine decide di staccarsi. Sorrentino ci fa seguire i suoi passi, in quello che è anche un viaggio nel dolore e nella malinconia più potenti, dove l’addio al grande amore della sua gioventù si prefigge come la ricerca della bellezza.

article imageDa a Sciuscià a La vita è bella, i film italiani che hanno vinto l’Oscar

Io capitano di Matteo Garrone è stato selezionato per rappresentare l’Italia per la corsa al miglior film straniero. E noi ripercorriamo i momenti nei quali il nostro cinema si è aggiudicato la statuetta

Una bellezza che non è intesa in senso meramente letterale, ma come ricerca di un senso, anche di una volontà artistica, con cui ridare un’anima al proprio vivere, una costruzione per quei sentimenti che per molto tempo Jep ha soffocato. Tutto questo Sorrentino lo crea con un film che, dal punto di vista tecnico, per la capacità ipnotica della sua regia, per il montaggio, fotografia e scenografie, rappresenta l’apice del cinema italiano degli ultimi 25 anni. La Grande Bellezza se la giocava qui con le più raffinate produzioni internazionali, altro fattore alla base di un plauso internazionale che fu quasi unanime. Il che rende ancora più interessante capire il perché di tanta ostilità tricolore, presente non solo nella critica (la nostra da sempre una delle più imprevedibili) ma anche in una certa parte di pubblico. Questo spesso non per gusto personale, ma per avere capito perfettamente il retroscena semantico del film e ciò di cui parlava, il dito che ci puntava contro.

Un racconto che sancisce la caduta del sogno berlusconiano

La Grande Bellezza è il film testamento sul berlusconismo, la cui ombra è in quelle serate, quella Roma decadente, quest’Italia di mille personaggi ridicoli, patetici, nei vari papponi, falsi mariti, viveur, biscazzieri, arrampicatrici e borghesi senz’anima. Il Cavaliere aveva regalato in trent’anni il sogno di un’Italia come una festa senza fine, ma il suo era stato un trenino che non andava in realtà da nessuna parte. La Grande Bellezza è il risveglio tragico e vero dal sonno della narrativa arcoriana, che proprio in quegli anni subisce un tracollo politico vertiginoso, da cui scaturisce la fine del ciclo del pifferaio magico e quindi tutto ciò che ne accompagnava il mito sul grande e piccolo schermo. De Sica, Boldi, Jerry Calà, i quiz, le veline e tutto il resto, ci avevano sempre assolti da ogni vizio e peccato. Per trent’anni ci eravamo sentiti dire che in fondo eravamo amabili mattacchioni, un po’ furbi un po’ fessi, ma non cattivi, volevamo solo una bonazza nel letto, una festa a Cortina e sfangarla.

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Celebrità e netizen sono insorti alla notizia che la regista e la protagonista del “film d’anno” (scorso) non sono state candidate agli Academy Award. E in effetti quando è troppo, è troppo

La vita come trucco e come inganno, il cinepanettone come lavaggio cinematografico della coscienza e esaltazione dei nostri difetti come pregi, il che poi era il grande racconto berlusconiano, la grande promessa di un avvenire scevro da ogni conseguenza. Ma quella narrazione Sorrentino la prende, la spezza, ci mostra come siamo diventati in realtà: cattivi, materialisti, avidi, crudeli. Hepburn e Peck in sella alla vespa ci vedevano come umanissimi, un po’ casinisti, ma caldi. Non lo siamo più, siamo sogno di mera materialità e successo immeritato, siamo volgarità, in questa Roma che dal 2014 di Jep, è diventata sempre più orrenda. Sorrentino non risparmia nessuno, né il protagonista, né gli artisti, neppure la Chiesa o l’antichità della Caput Mundi. Eppure, nel farlo, nel dipingere un affresco dove morte e vita sono legati indissolubilmente, Sorrentino ci offriva anche una speranza legata ai sentimenti, all’arte, alla cultura, alla volontà di riabbracciare il proprio io interiore, di superare l’egoismo tout court.