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Dalle sorprese dell’ovetto Kinder a Zerocalcare: storia dell’azienda che ci fa collezionare i nostri beniamini

Author: Wired

Le sorpresine dell’ovetto Kinder, le famiglie del Sorriso e Carletto dei sofficini Findus, i collezionabili di Harry Potter della Gazzetta dello Sport e persino le action figure di Zerocalcare. L’impronta lasciata nella nostra memoria da tanti giocattoli, gadget e pezzi da collezione si deve al contributo della Pea di San Mauro Torinese. “L’azienda è nata nel 1983 con il nome di Produzioni Editoriali Aprile; abbiamo iniziato infatti con l’editoria scolastica per bambini. Poi però abbiamo virato verso il comparto promozionale grazie alla collaborazione con Unilever“, spiega a Wired l’ad Gianluca Aprile di Cimia.

La “stanza dei giochi” dell’azienda è un viaggio nel tempo: sui ripiani ci sono tutti i pupazzetti, cartotecnica e gadget iconici dei marchi Coccolino, Mulino Bianco, Findus, Algida, Mr Day. Senza contare le collezioni di personaggi dei Kinder Sorpresa e quelle vendute in edicola. Quasi tutto è stato pensato e realizzato da questa piccola grande azienda dell’hinterland torinese da circa 40 milioni di euro di fatturato – per altro generati con prodotti che mediamente costano pochi centesimi.

Molti magari lo ricordano ancora, ma la svolta c’è stata a metà anni ’80 con il fustino Biopresto. Cercavano un prodotto da abbinare di alto valore percepito. Suggerimmo un set di pennarelli, perché San Mauro era il polo produttivo di riferimento: oltre 30 aziende fra cui la storica Carioca. Fu un successo perché per le famiglie quel regalo alleggeriva un po’ la spesa per la scuola“, prosegue Aprile.

Gruppo Pea uffici

Uffici Pea

Dalla scolastica alle produzioni cinesi

I fondatori di Pea, Ruggero e Valerio Aprile, tra gli anni ’60 e ’70 vestono i panni di editore, prima di arte e poi di scolastica. Intuiscono per primi la rivoluzione giovanile in atto e ne colgono il desiderio di espressione, anche solo con quaderni che richiamano i miti cinematografici del tempo. Conquistata la vetrina della libreria Rizzoli di New York, anche solo per una stagione, la svolta si concretizza a metà degli anni ’80 quando i prodotti editoriali e successivamente aziende specializzate in beni di largo consumo manifestano l’esigenza di spingere le vendite con gadget, giocattoli o altro.

Pea inizia appunto con i pennarelli, ma poi spinge l’acceleratore sulle sorpresine. “Ogni settimana il team veniva chiamato a produrre un certo numero di idee creative da inserire nelle scatoline del Mulino Bianco e di altre linee. Sono nate così le prime collezioni che hanno segnato l’infanzia di milioni di persone. Già, perché questi erano e sono i volumi di produzione – ricorda Aprile -. Poi non bisogna dimenticare che ogni singolo pezzo veniva ancora dipinto a mano. A Settimo per chi si occupava di stampi plastici per l’indotto automotive eravamo diventanti quasi un mito: domandavamo centinaia di migliaia di pezzi per singolo ordine“.

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Startup, nel più grande progetto di bonifica del mondo c’è di mezzo una italiana

Author: Wired

Tra i composti su cui si lavora ci sono idrocarburi, pesticidi, contaminanti organici recalcitranti, composti organici clorurati.Ma stiamo rilevando nuovi contaminanti emergenti, come i fans (farmaci antinfiammatori non steroidei, tra cui l’ibuprofene, ndr), che finiscono nel sistema fognario e i depuratori non sono in grado di trattenere”. Non solo. Le analisi mostrano anche la presenza di Pfas, una classe di sostanze che comprende migliaia di composti usati per la produzione di schiumogeni antincendio, pesticidi, imballaggi, vernici, prodotti elettronici, padelle antiaderenti, e che appaiono nei suoli.

Sono tra le sostanze chimiche più persistenti”, afferma Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace Italia: “Difficilmente si degradano nell’ambiente, e per essere distrutti devono essere portati a temperature superiori ai mille gradi. Non per niente vengono detti forever chemicals. I Pfas sono interferenti endocrini, tossici per la riproduzione e il feto e correlati a diverse forme tumorali. Le caratteristiche di resistenza termica, inerzia chimica, idrofobicità e lipofobicità ne hanno reso diffuso l’utilizzo. Una situazione preoccupante per la salute dell’uomo e dell’ambiente: sono stati rinvenuti in aree remote, nell’acqua, nell’uomo e persino nella pioggia. Ma, se escludiamo applicazioni come le tute antincendio dei pompieri, oggi esistono valide alternative”.

Si stanno moltiplicando le iniziative per vietare la produzione dei Pfas: come la proposta presentata da Germania, Paesi Bassi, Danimarca, Norvegia e Svezia o, recentemente, la mossa dell’amministrazione Biden negli Stati Uniti, che per la prima volta ha proposto uno standard per l’acqua potabile. Perché “i Pfas sfuggono ai processi di depurazione tradizionale e vengono ritrovati in acque di scarico e fanghi, spesso impiegati in agricoltura”, riprende Masini.

Dnd Biotech oggi fattura circa un milione e mezzo di euro, “numeri in crescita” annota l’ad. L’azienda toscana ha effettuato un percorso nell’acceleratore napoletano Terra Next, specializzato nella bioeconomy e parte della rete di Cassa depositi e prestiti. Nel futuro c’è un round di finanziamento che, afferma il manager, dovrebbe arrivare entro fine anno.

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Skyward, il gruppo di studenti che costruisce razzi da competizione all’università

Author: Wired

Parlano di obiettivi e strategie aerospaziali come fossero dei veterani, e in un certo senso lo sono: galloni e stellette li hanno conquistati sul campo. Se studiare con la testa tra le nuvole di solito non rende, beh, loro rappresentano un’eccezione. Letteralmente. A Milano c’è un’associazione studentesca che progetta, costruisce e lancia razzi sonda di due metri e mezzo. Si chiama Skyward, è nata nel 2012 in seno al Politecnico di Milano e fa incetta di premi internazionali. Lo scorso ottobre ha stravinto Euroc, competizione missilistica internazionale organizzata dall’agenzia spaziale portoghese, e lo ha fatto stracciando la concorrenza. 

L’importanza di arrivare primi

Skyward raccoglie 140 studenti di diverse facoltà, da ingegneria aerospaziale a gestionale, incluse informatica e persino design – spiega a Wired Virginia Porro, presidente del gruppo -. A lungo è stata solo una sorta di banco di prova per studenti, ma la nascita di Euroc tre anni fa ci ha dato uno scopo verso cui far convergere gli sforzi. Si tratta di una competizione più  piccola di quelle americane, ma con requisiti tecnici molto più stringenti”. 

A costruire un missile poco dopo aver preso la patente si arriva dedicando al progetto ogni minuto libero, e con un’organizzazione del lavoro quasi tayloristica. Ogni squadra si occupa di un aspetto, dall’elettronica al software, passando per algoritmi, controllo in volo, analisi delle emissioni. “Cerchiamo di realizzare qualcosa di innovativo e al contempo interessante per i ragazzi che ci lavorano – prosegue Porro -. E unendo le conoscenze, alla fine il razzo si arriva a lanciarlo davvero”. 

Il problema non è costruire un oggetto che voli all’infinito, ma un dispositivo che arrivi più vicino possibile all’obiettivo fissato”, illustra Marco Del Togno, futuro ingegnere meccanico, responsabile della logistica e della parte comunicativa. I test più semplici, confida, avvengono in una zona attrezzata nei pressi del Politecnico, con paracadute e vele che permettono di recuperare i vettori ancora in ottimo stato. Gli altri a Roccaraso, in Abruzzo.

Competizione dura, quella con le altre squadre che partecipano all’Air Summit lusitano. “E noi, con Pyxis, abbiamo stravinto – rimarca Del Togno -, agguantando anche i technical award (miglior design e miglior report, ndr) e il premio per il miglior sistema di antenne”. Grandi novità sono attese per il 2023, quando esordirà il motore ibrido al protossido di azoto, che ha richiesto due anni di progettazione. 

Il sogno? La Formula Uno

Porro, che è ingegnere gestionale, racconta con un sorriso come è entrata nel gruppo. “L’università italiana è molto teorica, e cercavo un’associazione studentesca per non limitarmi a stare solo sui libri”, ricorda. Consigliata da un amico, l’idea di provare a spedire un oggetto in orbita assieme a un gruppo di coetanei l’ha conquistata. Non esattamente positiva la prima esperienza. “Il lancio cui ho assistito si è schiantato. Un anno di lavoro andato in fumo, ma l’importante è perseverare, e sapevamo di avere margini di miglioramento”, dice.

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Elezioni regionali Lombardia: i programmi dei candidati per il lavoro e le imprese

Author: Wired

L’impegno, se dovesse essere eletta, riguarda anche l’introduzione di “una disciplina chiara e completa sullo smart working e diritto alla disconnessione del lavoratore, creando nuove connessioni con servizi pubblici e lavoratore”, “affrontare con strategie mirate il fenomeno della denatalità”, Studiare un assegno unico regionale per i figli”, “Investire sulla formazione professionale e sulla riqualificazione”, “fare squadra e mettere a sistema gli enti del comparto industriale”. Per le imprese, visti i tempi, Moratti vuole favorire l’indipendenza energetica delle pmi – stoccare l’energia prodotta e riutilizzarla anziché rivenderla a prezzo di listino”, ma anche spingere per una “digitalizzazione e uno snellimento del rapporto fra Pubblica amministrazione e imprese” unito al “supporto all’accesso credito di micro e piccole imprese”. Per i giovani imprenditori in programma anche “una formazione specifica”.

Pierfrancesco Majorino col centrosinistra e il Movimento 5 Stelle

Il candidato del centrosinistra e del M5s parla subito di pari opportunità “Servono nuove iniziative a sostegno dell’imprenditoria femminile” ma anche di promozione per l’innovazione nelle imprese lombarde, grazie all’ aumento “degli investimenti pubblici e privati in ricerca & sviluppo”, portando la spesa “dall’attuale 1,3% al 3% del Pil”, insieme a una nuova stagione “di investimenti pubblici e privati, favorendo il trasferimento dalle università alle pmi”. Un occhio di riguardo anche alle startup innovative, tramite “l’abbattimento totale dell’Irap per i primi 3 anni di attività e costituzione di un fondo regionale di co-investimento che raddoppi gli investimenti effettuati da investitori privati”

Guardando l’esempio dell’Emilia Romagna Majorino vuole realizzare, con le parti sociali e gli enti locali, “un grande Patto per il lavoro e il clima”, mettendo al centro “il lavoro dei giovani spezzando l’abuso nell’utilizzo degli stage”. Come? Potenziando “l’apprendistato, rendendolo progressivo, rafforzando la decontribuzione nazionale prevista dalla legge di stabilità e diminuendo la burocrazia necessaria per l’attivazione”, incrementando “le decontribuzioni statali per le assunzioni a tempo indeterminato, specie se legate a progetti di innovazione e trasformazione digitale”

E aggiunge misure “per impedire l’abuso dei finti tirocini e aumentare la retribuzione minima per  gli stage ad almeno 800 euro al mese”. Punti anche per la libera professione, attraverso un aumento delle “tutele e opportunità a favore di freelance e partite Iva, a partire dall’accesso dei professionisti alla formazione continua”. Nei bandi pubblici Majorino punta “all’istituzione di un salario minimo a tutela del lavoro”. Per monitorare l’andamento del settore verrà istituito “un osservatorio sui salari in Lombardia, sostenendo il salario minimo e contrastando la disparità salariale tra generi”. Contro i Neet verrà implementato un sistema di orientamento e la costruzione di un catalogo permanente di brevi corsi di qualificazione professionale per i Neet maggiorenni”.

Mara Ghidorzi per Unione popolare

Per il lavoro la candidata per Unione popolare nel suo programma propone “l’emanazione di direttive più restrittive in materia di sicurezza sul lavoro”, il rafforzamento “delle attività di controllo diretto della sicurezza sul lavoro nelle aziende”, e “degli strumenti di sostegno al reddito, di contrasto alla povertà e al caro bollette” e degli “strumenti normativi e finanziari per tutelare i posti di lavoro nelle crisi aziendali”

Ghidorzi vuole disincentivare le delocalizzazioni vincolando le imprese alla restituzione di eventuali finanziamenti ottenuti” e potenziare “i centri per l’impiego pubblici con eliminazione del sistema a Dote e di accreditamento delle agenzie private”, oltre a un piano di assunzione da 20.000 posti a partire da welfare, sanità, trasporti e sicurezza sul lavoro”. Tra i punti anche quello che prevede di “subordinare la concessione a privati di appalti o finanziamenti alla previsione di un salario minimo non inferiore a 10 euro da rivalutare annualmente e al rafforzamento dei controlli sulla sicurezza sul lavoro” e “per la concessione di finanziamenti a privati, dare punteggi aggiuntivi in caso di riduzione dell’orario lavorativo e di esclusione di forme contrattuali atipiche diverse dal contratto a tempo indeterminato”.

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Natale, tutto quello che sappiamo lo hanno deciso le aziende

Author: Wired

Ormai ci siamo: è QUEL giorno dell’anno. Natale. Con le sue luci, i regali, Babbo Natale e le canzoncine che lo accompagnano già dal primo novembre (per info: rivolgersi a Mariah Carey). Tutto sembra volerci suscitare la magia, l’atmosfera e la nostalgia per un tempo in cui non eravamo neppure nati. Ecco: quel periodo in realtà non è mai esistito. Nessuno vuol essere il Grinch della situazione, ma bisogna ammetterlo a noi stessi: il Natale che viviamo in questi giorni, come quello che abbiamo vissuto negli ultimi anni, è solo un’accozzaglia di input che il marketing ha provato a rifilarci. Riuscendoci, peraltro, visto che ne siamo rimasti plasmati. La popolarità del Natale e la sua crescente commercializzazione, sono andate di pari passo, influenzando l’un l’altra fino ad arrivare ai nostri giorni con la stagione natalizia che inizia ormai ai primi di novembre. Ed è stato proprio il marketing a stimolare entrambe queste tendenze e la storia di come tutto ciò sia avvenuto può fornirci alcuni affascinanti spunti  per capire come la società possa plasmarsi.

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Le origini del Natale commerciale

Nonostante la tradizione popolare italiana sia ricca di tradizioni e ricorrenze legate in parte al folklore e in parte alla religione (il presepe, per esempio, è una nostra “esclusiva”), anche da noi il Natale commerciale è arrivato come negli Stati Uniti solo nel Novecento. A fare da spartiacque tra un prima e un dopo del Natale commerciale c’è stato lo sviluppo dell’industrializzazione: da noi, come negli Stati Uniti (che ci hanno influenzato su più fronti) la modernità portò inizialmente una sorta di nostalgia per la semplicità della pur durissima vita precedente. La globalizazzione ha fatto il resto: spostando qui e là i simboli del Natale in giro per il mondo. Con il passare degli anni, giocò un ruolo fondamentale la Penny Press: le storie di cui parlava, così come le “pubblicità” che figuravano su questi giornali iniziarono costruire pezzi di tradizione natalizia, molti dei quali si sono cementati nella cultura popolare.

La regina Vittoria con la famiglia intorno a un albero di Natale. Credit Illustrated London News

Secondo alcuni, per esempio, la popolarità degli alberi di Natale può essere fatta risalire a un’immagine nel Godey’s Lady’s Book, la rivista più letta all’epoca, in cui la regina Vittoria e la sua famiglia posavano riuniti intorno a un abete addobbato con delle candele. Tuttavia, il vero boom del Natale è arrivato grazie alla diffusione dei grandi magazzini, che negli hanno visto un’incredibile opportunità di affari nel fare regali di Natale e hanno iniziato ad addobbarli creando l’estetica natalizia che oggi associamo al Natale. 

Altri dettagli, li dobbiamo ad alcuni imprenditori: per esempio le cartoline natalizie che vediamo nei film americani nacquero grazie al tipografo tedesco Louis Prang che voleva creare un mercato per la sua tecnologia di stampa a colori appena inventata. Per non parlare delle palline di Natale. Anche loro un prodotto di marketing: infatti, nelle immagini più antiche (e anche in alcuni film Disney) gli alberi erano solitamente adornati con delle candele. L’idea di ornamenti sferici fu del proprietario del grande magazzino FW Woolworth che decise di produrli in massa in Germania e di venderli a buon mercato. Un successo.

Coca-Cola ha plasmato l’immagine di Babbo Natale

Babbo Natale in un manifesto di Coca Cola del 1953

Babbo Natale in un manifesto di Coca Cola del 1953

Library of Congress/Getty Images

Cappello rosso con il pon pon bianco, così come la sua barba: se c’è qualcuno che non lo sapesse il vecchio paffuto che porta i regali ai bambini nella notte di Natale ce lo ha regalato Coca-Cola. Fino alle prime immagini promozionali della famosa bibita, infatti, Babbo Natale era conosciuto nella tradizione dei paesi del nord Europa e per tutti era San Nicola. La sua figura iniziò a riscuotere un certo successo negli Stati Unit grazie al poema del 1822 A Visit from St. Nicholas (ora più popolarmente noto come The Night Before Christmas). La sua figura, però, non era ben nota all’opinione pubblica: così i grandi magazzini, con un piccolo aiuto delle riviste dell’epoca, aiutarono a rimediare. 

Nel 1841 spuntò un Babbo Natale a dimensione naturale in un negozio di Filadelfia: l’idea di marketing era quella di dare alle persone la possibilità di incontrare dal vivo Babbo Natale. Ma come si è arrivati al Babbo Natale che conosciamo oggi? Fu il disegnatore Fred Mizen a realizzare il personaggio che diventò protagonista delle campagne campagne di advertisng Coca-Cola. Prima di allora, infatti, Santa Claus era raffigurato come un elfo, piccolo, magro e verde. Fu poi lo storytelling della magia della notte di Natale a permettere all’azienda di entrare di prepotenza nell’immaginario collettivo e modificando quella figura leggendaria grazie ai suoi manifesti pubblicitari.