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Assalto al trono dell’intelligenza artificiale: chi sfida il primato di Nvidia

Author: Wired

E così, le Gpu iniziano a farsi largo anche in settori diversi dal gaming. Per esempio, i processori di Nvidia iniziano ad andare a ruba anche in concomitanza con il primo boom dei bitcoin – quello avvenuto tra il 2007 e il 2008 – avendo dimostrato di essere estremamente utili per il mining (ovvero l’attività di “estrazione” dei bitcoin e non solo).

Addestrare l’AI

Soprattutto, le Gpu e Cuda si dimostrano degli strumenti perfetti per l’addestramento dei sistemi di deep learning, che a partire dal 2013 iniziano a diffondersi sempre di più, dando vita alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale e venendo rapidamente integrati nei social network, nelle piattaforme di streaming, nei software per la creazione di immagini e in una miriade di altri ambiti.

Il vero salto di qualità si è però verificato a partire dal 2022, con l’avvento di ChatGPT e l’esplosione degli altri large language model, che hanno reso Nvidia l’indiscusso leader per la fornitura di processori a chiunque sia attivo nel settore dell’intelligenza artificiale. Oggi Nvidia detiene in questo campo una quota di mercato pari al 70-90%, mentre i suoi profitti sono aumentati nel 2023 del 400% rispetto all’anno precedente. Inevitabilmente, il settore dell’intelligenza artificiale è diventato il principale per Nvidia, surclassando anche quello dei videogiochi.

È per questo che il suo valore è aumentato a dismisura negli ultimi anni. Ed è per questo che – nonostante il fatturato sia ancora una frazione di quello degli altri colossi tech (27 miliardi contro i 380 di Apple) – alcuni analisti continuano a considerarlo il cavallo giusto su cui puntare a livello finanziario.

Gli sfidanti

Allo stesso tempo, però, Nvidia deve iniziare a guardarsi alle spalle. Come detto, le sue Gpu sono state originariamente progettate per il gaming, scoprendo poi che erano perfettamente funzionali anche per il carico di lavoro richiesto per l’addestramento delle intelligenze artificiali. E se invece dei processori progettati da zero specificamente per i large language model, e più in generale i sistemi di deep learning, fossero ancora più efficienti?

È ciò su cui sta scommettendo Cerebras, startup californiana guidata da Andrew Feldman che progetta processori creati esclusivamente per l’intelligenza artificiale. Processori, tra l’altro, dalle dimensioni inusuali: “Il nostro chip è grande quanto un piatto da tavola, mentre una Gpu ha le dimensioni di un francobollo”, ha spiegato Feldman parlando con l’Economist. Potrebbe sembrare una mossa controintuitiva, visto che il progresso tecnologico è sempre stato anche una corsa alla miniaturizzazione. Eppure, Cerebras permette di usare un solo, enorme chip laddove con le GPU di Nvidia bisogna collegarne un gran numero tra loro. Questo permette alle connessioni tra i vari core presenti nel chip di operare migliaia di volte più rapidamente di quanto avviene con le connessioni tra GPU separate.

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Economia Tecnologia

La Cina investe per essere autosufficiente nei semiconduttori

Author: Wired

L’autosufficienza nel settore dei semiconduttori. È questo l’obiettivo in vista del quale la Cina, come riporta l’agenzia Reuters, ha istituito il suo terzo fondo di investimento statale per rilanciare il comparto con un capitale sociale di 344 miliardi di yuan, pari a 47,5 miliardi di dollari.

Soprattutto negli ultimi due anni il paese asiatico ha dedicato risorse importanti nell’industria dei chip. Le motivazioni di tale accelerata sono legate soprattutto alle misure di controllo sulle esportazioni messe in atto dagli Stati Uniti, convinti che la Cina potesse utilizzare tecnologie avanzate a stelle e strisce per potenziare le proprie capacità militari.

Il terzo fondo di investimento per l’industria dei circuiti integrati cinesi sarebbe stato ufficialmente istituito il 24 maggio e sarebbe il più grande di quelli lanciati dal China integrated circuit industry investment fund, anche noto come Big Fund. Secondo quanto risulta a Tianyancha, società cinese che gestisce database di informazioni sulle aziende, il maggiore azionista sarebbe il ministero delle Finanze della Cina, che ne deterrebbe una quota pari al 17%, per un capitale versato di 60 miliardi di yuan. Il secondo in tale speciale classifica sarebbe invece la China Development Bank, con una quota del 10,5%, a cui farebbero compagnia altri istituti creditizi, come per esempio la Industrial and commercial bank of China e la China construction bank.

Il primo fondo fu costituito nel 2014, con un capitale sociale di 138,7 miliardi di yuan. Il secondo risale invece al 2019 e vi fu dedicato un investimento pari a 204 miliardi di yuan. Nel tempo, il Big Fund ha finanziato le due più grandi fonderie di semiconduttori della Cina: la Semiconductor Manufacturing International e la Hua Hong Semiconductor. La terza fase lanciata dal governo cinese si concentrerà invece soprattutto sull’attrezzatura per la produzione dei chip.

Alla notizia hanno intanto reagito molto bene le azioni cinesi del comparto, che hanno fatto registrare un aumento superiore al 3%, ottenendo il guadagno giornaliero più grande del mese di maggio.

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Economia Tecnologia

Perché il terremoto a Taiwan preoccupa le big tech

Author: Wired

Il terremoto che ha colpito Taiwan il 3 aprile, il più violento degli ultimi 25 anni nell’isola asiatica, con un bilancio provvisorio di 9 morti e 821 feriti, rischia di avere serie ripercussioni anche sulla produzione globale di semiconduttori. Come riporta Bloomberg, il paese asiatico ricopre infatti un ruolo fondamentale nell’industria mondiale dei chip avanzati che sono alla base, tra gli altri, degli smartphone, dei veicoli elettrici e dei principali strumenti di intelligenza artificiale.

I danni del terremoto a TaiwanTerremoto a Taiwan, le immagini del sismaGallery32 Immaginidi Kevin CarboniGuarda la gallery

In seguito alla calamità, la Taiwan Semiconductor Manufacturing Co (Tsmc), maggior produttore di chip al mondo, che conta tra i propri clienti colossi come Apple e Nvidia, ha fermato alcuni macchinari e fatto evacuare il personale dalle proprie sedi. Lo stesso ha fatto la rivale locale United Microelectronics nei propri hub di Hsinchu e Tainan. Quanto basta per mettere in allarme le big tech mondiali, considerando che da Taiwan arriva una fetta tra l’80 e il 90% dei chip di fascia alta. I macchinari per la produzione di chip sono molto delicati, pertanto il sisma potrebbe aver provocato anche piccoli danni che ne potrebbero compromettere il funzionamento.

In particolare, a soffrire di un eventuale stop prolungato alla produzione dei semiconduttori potrebbe essere il comparto dell’intelligenza artificiale, già peraltro provato dalla breve interruzione del 3 aprile. D’altronde l’amministratore delegato di OpenAI Sam Altman e il suo omologo di Nvidia Jensen Huang già in passato hanno manifestato preoccupazione riguardo alla scarsità dei chip utili alla realizzazione di nuovi strumenti.

La scelta strategica di Tsmc è da anni la stessa: l’azienda taiwanese ha concentrato sull’isola i propri impianti di produzione, dando così la possibilità agli ingegneri di lavorare insieme, condividendo le proprie competenze. Se già le interruzioni nella catena di produzione causate dalla pandemia avevano portato Stati Uniti, Europa e Giappone a esortare la società a costruire nuovi impianti all’estero, lo stop che il terremoto ha imposto alle fabbriche e potrebbe imporre alle esportazioni potrebbe potenzialmente accelerare la realizzazione delle sedi di Tsmc in Giappone e negli Stati Uniti, paesi in cui comunque l’azienda non avrebbe intenzione di spostare la produzione dei chip più avanzati.

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I Paesi del G7 vogliono investire nei cavi internet nell’Artico

Author: Wired

VeronaInvestire in cavi internet sottomarini nel mar Artico. È questo uno degli impegni presi dai paesi del G7, il forum intergovernativo che riunisce le sette economie più avanzate del pianeta (Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti, Italia, Canada e Giappone), al primo appuntamento ministeriale del G7, di cui Roma ha la presidenza per il 2024. “Lavoreremo per progetti di comunicazione sottomarina nel mar Artico e nel Pacifico, per mettere in sicurezza la trasmissione dei dati”, ha detto il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso.

Dossier telecomunicazioni

C’è in particolare un progetto, quello di un cavo internet nell’Artico, messo sul tavolo al G7 del 2023, a guida giapponese. Obiettivo: creare una connessione diretta tra Giappone, Europa e Nord America, bypassando la Russia. E l’Artico è la via più breve per collegare le tre sponde del blocco. Una partita che si è fatta più urgente all’incrinarsi dei rapporti tra Stati Uniti e Cina, ma anche all’indomani degli attacchi a quattro cavi internet che passano attraverso il mar Rosso, snodo mondiale non solo dello scambio delle merci, ma anche delle informazioni, dato che da là passa il 17% del traffico globale di dati.

Un dossier esiste. È quello di Far North Fiber, 17mila chilometri di lunghezza, promosso da tre operatori di telecomunicazioni in Finlandia, Stati Uniti e Giappone (rispettivamente Oy, Far North Digital e Arteria networks) e affidato ad Alcatel submarine networks, il più importante sviluppatore di queste infrastrutture (parte del gruppo Nokia). Consegna prevista nel 2027. Al cavo è interessata anche la Commissione europea, che nel 2023 ha varato un’iniziativa sulle comunicazioni nell’Artico, così come la Nato, che ha istituito un coordinamento nello stesso anno, dopo il danneggiamento del cavo che collega l’arcipelago delle Svalbard alla Norvegia nel gennaio 2022. Al G7 di Verona e Trento, dedicato a industria e digitale e prima delle venti tappe in programma in diverse città italiane e che culmineranno a metà giugno con l’incontro dei capi di Stato a Borgo Egnazia, in Puglia, il gruppo di ministri ha preso un impegno anche nell’investimento in reti quantistiche.

Le sessioni di lavoro

All’incontro nella città veneta, nel palazzo della Gran Guardia, dirimpetto all’Arena, hanno preso parte anche le delegazioni dell’Unione europea, capeggiata dalla vicepresidente con delega al digitale, Margrethe Vestager, e di Corea del sud, Ucraina e Arabia saudita. I lavori sono stati suddivisi in tre momenti. Nella prima sessione è emersa una concertazione tra i paesi del G7 di allineare le regole per sviluppare in modo coordinato intelligenza artificiale, quantum computing e altre tecnologie di frontiera. In particolare, a guidare il lavoro sull’AI sarà il cosiddetto processo di Hiroshima, un metodo per stabilire norme comuni sul settore avviato durante il G7 giapponese. A ottobre è prevista un nuovo vertice ministeriale su tecnologia e industria, per mettere nero su bianco in un documento i progressi raggiunti e trasferire il dossier alla presidenza del 2028, affidata al Canada.

La seconda sessione ha messo a fuoco i problemi delle catene di approvvigionamento da cui dipendono le nazioni del G7 per svincolarsi e stabilire una politica comune sugli investimenti. A partire dai semiconduttori. La terza sessione, a cui hanno partecipato anche delegati dell’Unione internazionale delle telecomunicazioni (Itu), agenzia delle Nazioni unite, ha fissato come obiettivo la realizzazione di un hub per l’AI, per diffondere conoscenza e competenze a livello globale.

L’investimento di Silicon Box

Al tavolo del G7 Urso si è seduto sicuro dell’investimento da 3,2 miliardi da parte di Silicon Box, startup di Singapore specializzata in chiplet, minuscoli circuiti integrati grandi come granelli di sabbia. L’impianto dovrebbe generare 1.600 posti di lavoro. L’ad dell’azienda, Byung Joon Han, che ha partecipato a una riunione preliminare dei rappresentanti delle imprese, il B7, ha spiegato di voler far partire l’investimento entro il 2024. Ancora non è noto dove sorgerà la fabbrica né a quanto ammonti le agevolazioni concesse dal governo, tema su cui Urso non si è voluto esprimere.

Il ministro ha detto che l’investimento nasce a valle di una serie di incontri con 80 aziende della microelettronica portate avanti dalla task force dedicata del suo ministero e condotte nel 2023. Tra questi vi sono aziende di Taiwan, della Corea del sud, del Giappone e degli Stati Uniti. Tra queste Intel, che aveva intenzione di avviare anche in Italia un impianto nella filiera dei chip ma poi ha ritirato la proposta. La scorsa estate Silicon Box ha visitato diversi siti nel Belpaese e si orientata per insediarsi nel nord Italia. Secondo Urso quello della startup di Singapore è il primo di una serie di annunci: “Altri investimenti seguiranno nei prossimi mesi”.

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Il nuovo piano della Cina per l’autosufficienza tecnologica

Author: Wired

Taipei – Xīn zhí shēngchǎnlì. Ovvero, nuove forze produttive. La formula chiave delle “due sessioni” 2024 pare essere questa. Una formula dietro la quale si cela un cambio di prospettiva e di modello di sviluppo per la Cina. Se n’è parlato tantissimo durante le riunioni della Conferenza consultiva politica del popolo cinese e dell’Assemblea nazionale del popolo, che come ogni anno rappresentano il principale appuntamento politico e legislativo a livello statale. È qui, insieme al Plenum del Partito comunista (che nel 2023 non si è inusualmente svolto) che le proposte, le idee e le teorie trovano forma. Entrano nel lessico, nella liturgia e nell’ortodossia di Partito e Stato, due entità di cui i confini sono in realtà sempre meno definiti.

Per ogni concetto che assurge a linea guida, serve una “mitologia“. Ed ecco allora che i media statali cinesi spiegano che la formula di “nuove forze produttive” è stata introdotta dal presidente Xi Jinping lo scorso settembre, durante un’ispezione nell’Heilongjiang, una provincia nord orientale. Stavolta, il leader ne ha parlato in maniera specifica durante la seconda sessione dell’Assemblea nazionale del popolo durante una riunione con gli esponenti della provincia dello Jiangsu. Xi ha chiesto di concentrarsi sullo sviluppo di alta qualità come massima priorità, sollecitando sforzi per intensificare l’innovazione, promuovere le industrie emergenti, adottare piani lungimiranti per lo sviluppo di industrie orientate al futuro e migliorare il sistema industriale modernizzato.

Il discorso ha subito conquistato, come ovvio, il centro della ribalta. Ma che cosa significa esattamente il concetto di “nuove forze produttive”? Si intreccia con gli obiettivi strategici dell’autosufficienza tecnologica e quello di trasformazione del modello di sviluppo. La Cina di Xi non mira solo ad accelerare e persino completare la transizione da “fabbrica del mondo” a società di consumi, ma anche a creare un modello di crescita ad alta qualità, meno imponente dal punto di vista quantitativo ma più sicuro e privo di esagerate esposizioni a debito e turbolenze esterne.

Innovazione massima priorità strategica

Le due sessioni 2024 certificano che l’innovazione deve essere il cuore delle nuove forze produttive e che queste ultime sono il motore con cui la Cina può lasciare il modello di crescita tradizionale e percorrere un sentiero di sviluppo produttivo diverso, in cui l’high tech e l’alta qualità siano in grado di sprigionare un potere trasformativo di innovazione.

Sin qui, tante buone intenzioni. Ma per passare ai fatti concreti, servono secondo la leadership cinese due passaggi. Il primo è l’investimento nella ricerca per perfezionare tecnologie in grado di cambiare le “regole del gioco”. Il secondo è applicare queste innovazioni tecnologiche sul piano industriale. Il terzo è completare la riforma dei settori produttivi. In qualche caso, la Cina sente di esserci già riuscita. Non a caso, anche nel rapporto di lavoro del premier Li Qiang si menzionano i successi raccolti in alcuni settori ad alto valore innovativo e strategico: auto elettriche, batterie agli ioni di litio, fotovoltaico. Senza dimenticare il recente lancio internazionale dell’aereo C919 che si propone di sfidare Boeing e Airbus in alcuni mercati emergenti (soprattutto del Sud-Est asiatico), la ricerca sottomarina e il settore spaziale.