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Il nuovo smartphone di Huawei contiene un chip che la Cina non dovrebbe avere

Author: Wired

Terrò per me qualsiasi commento finché non avremo maggiori informazioni, ma puntiamo a ottenere maggiori informazioni”. È questo, in sintesi, il pensiero del segretario nazionale per la Sicurezza nazionale degli Stati Uniti Jake Sullivan sul chip Kirin 9000s contenuto nel nuovo smartphone Huawei, il Mate 60 Pro.

In particolare, nel nuovo prodotto del colosso cinese sarebbe presente, secondo un rapporto di TechInsights riportato dall’agenzia Reuters, un processore avanzato da 7 nanometri realizzato dal colosso cinese proprio nel paese asiatico, in sinergia con la Semiconductor Manufacturing International Corp (Smic).

La società di Shenzen ha lanciato il suo ultimo smartphone a cavallo tra agosto e settembre pubblicizzando la sua capacità di supportare chiamate satellitari, senza però specificare informazioni sulla potenza del chipset. L’analisi dei tecnici di TechInsights suggerisce però l’ipotesi che il governo cinese stia facendo progressi sul percorso finalizzato alla costruzione di un ecosistema di chip domestico. Analizzando i video di smontaggio pubblicati e i test di velocità condivisi dagli acquirenti del nuovo prodotto Huawei in Cina, essi si sono fatti l’idea che il Mate 60 Pro sarebbe in grado di raggiungere velocità di download ben superiori a quelle dei telefonini che supportano il 5G di fascia alta.

Un vero e proprio “schiaffo in facciaagli Stati Uniti, secondo il tecnico di TechInsights Dan Hutchenson, considerando che peraltro il lancio del prodotto è coinciso con la visita nel paese asiatico della segretaria al Commercio Gina Raimondo. Sin dal 2019 gli Stati Uniti hanno infatti attuato politiche finalizzate a limitare l’accesso del colosso cinese agli strumenti di produzione dei chip essenziali per produrre i modelli di telefono più avanzati.

A luglio proprio l’agenzia Reuters aveva però riportato la convinzione diffusa tra le società di ricerca su un pronto ritorno di Huawei nel mercato degli smartphone 5G, dettata proprio dalla collaborazione in atto tra la società presieduta da Liang Hua e la Smic di Shanghai.

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Economia Tecnologia

C’è un nuovo codice di condotta per i call center molesti

Author: Wired

Contrastare il telemarketing illegale e aggressivo e favorire l’adesione dei consumatori unicamente a contratti rispettosi della normativa vigente. Sono questi i due obiettivi principali con i quali l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha approvato nella seduta dello scorso 26 luglio il nuovo codice di condotta sul call center.

In una nota pubblicata sul proprio sito, l’Agcom sottolinea quali principi abbiano ispirato le misure definite, che dovranno essere recepite nei contratti tra gli operatori di comunicazioni elettroniche e i partner commerciali che svolgono attività di call center. L’autorità cita per esempio la trasparenza dei contratti conclusi telefonicamente con gli utenti finali, l’utilizzo corretto delle liste telefoniche e l’obbligo di iscrizione al Registro degli operatori di comunicazione (Roc) dei call center.

Sono però in particolare due i paletti che potrebbero mettere al muro i teleseller: l’obbligo di richiamabilità dei call center da parte del cliente e, soprattutto, il divieto di modificare il caller line identification della linea da cui origina la chiamata al cliente. In questo senso, l’Agcom “rileva – si legge nella nota – un impianto normativo insufficiente ad assicurare un efficace contrasto al fenomeno del teleselling illegale; mancano, per esempio, norme che obblighino i call center ad adottare una numerazione riconoscibile, indicata dall’Autorità, e consentano di contrastare il cosiddetto spoofing del numero telefonico, oggi agevolato dalle nuove tecnologie, con una portata non solo nazionale”.

L’adesione al codice di condotta da parte di operatori e call center è su base volontaria. In via indiretta, attraverso contratti che dovranno recepire le misure previste, il codice avrà comunque effetti sull’attività dei call center che sottoscriveranno i contratti stessi.

Tra le misure previste dall’Agcom spiccano i requisiti minimi di qualità e l’affidabilità professionale richiesti ai call center, il monitoraggio sull’attività di questi ultimi da parte degli operatori di comunicazioni loro partner e l’obbligo di garantire agli utenti contattati la possibilità di compiere scelte consapevoli.

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Tecnologia

Il popolo che non vuole internet

Author: Wired

La tribù ha scritto al governo distrettuale di Lebak chiedendo che non ci sia ricezione nei loro villaggi. Nella lettera, come riporta l’Afp, hanno chiesto “di eliminare il segnale internet o di deviare il trasmettitore di segnale in modo che non sia diretto alla terra abituale di Baduy da varie direzioni, in modo che la terra abituale di Baduy sia un’area pulita dal segnale internet“. L’obiettivo, scrivono, è “limitare o chiudere le applicazioni, i programmi e i contenuti negativi della rete Internet che possono influenzare la morale delle giovani generazioni“.

No al “degrado morale” di internet

La facilità di accesso alle informazioni è avvertita anche dalla società tribale che avrebbe dovuto custodire la tradizione dei propri antenati in conformità con le norme consuetudinarie“, hanno affermato i leader Baduy nella lettera. L’esistenza di smartphone che possono essere posseduti da tutte le persone, compresa la tribù dei Baduy, è considerata “una causa di degrado morale per la nostra generazione, che può accedere a varie applicazioni e contenuti non educati e non in linea con la tradizione“.

E ancora: “Ci rendiamo conto che è impossibile andare contro il progresso del tempo e seguiremo e sosterremo il progresso tecnologico… purché non sia in conflitto con la tradizione. Tuttavia, come consiglio consuetudinario dobbiamo scegliere quali prodotti di progresso non danneggino il nostro ordinamento giuridico e culturale“.

Non è ancora chiaro se la richiesta riguarda solo i villaggi più remoti oppure anche quelli più legati all’esterno. Ma il fastidio degli anziani della comunità riguarda non solo la pervasività di internet, ma anche la presenza di forestieri in grado di “disturbare” la vita locale. Un portavoce del popolo Baduy ha spiegato al Sydney Morning Herald che gli anziani sono anche scontenti del fatto che diversi visitatori si rechino nei villaggi interni e scattino fotografie, violando la regola che vieta di portare con sé macchine fotografiche e telefoni.

Il governo regionale e quello centrale sembrano disposti ad accontentare le richieste dei Baduy e a staccare la connessione. Almeno fino a quando le generazioni più giovani non riusciranno a far cambiare idea ai più anziani. O magari fino a quando gli anziani diventeranno loro.

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A Milano il primo punto di presenza continentale del cavo sottomarino Ionian

Author: Wired

Il primo punto di presenza (PoP) continentale del nuovo cavo sottomarinoIoniandi Islalink è stato attivato a Milano nella Carrier Hotel di Milan Internet Exchange (Mix), il principale punto di interscambio pubblico di internet in Italia. Lo ha annunciato in una nota lo stesso provider indipendente e neutrale di infrastrutture in fibra ottica con sede a Madrid.

Lo storico campus telco Caldera Park della città meneghina, l’area privata in cui insiste la più alta concentrazione di reti del paese, in cui Mix ha sede dal 2000, è stato dunque individuato dalla società spagnola come luogo ideale in cui posizionare il PoP wavelength division multiplexing (Wdm) chiamato a fornire servizi di telecomunicazione tra l’Italia e la Grecia. Il sistema raggiunge infatti Atene e Salonicco attraverso un nuovo sistema di trasmissione dati all’avanguardia, su una rotta completamente diversificata rispetto a quelle attuali definita nella nota “sicura e robusta”.

Per l’amministratore delegato di Milan Internet Exchange Alessandro Talotta, la scelta di Islalink “conferma il ruolo di Mix come principale punto di interconnessione internet”. La soddisfazione dell’ad riguarda soprattutto la possibilità di “apportare un valore significativo ai nostri clienti e soci”, nonché quella che “molte reti, ubicate in Italia e in Grecia ma non solo, siano collegate attraverso questa nuova via in fibra ad alte prestazioni”, rappresentando “una grande opportunità di sviluppo per entrambi i paesi“.

L’ad di Islalink Esther Garcés sottolinea invece che “avere Mix come partner è fondamentale per il progetto Ionian: Mix a Milano è il punto di interconnessione più importante, che riunisce carrier, OTT e provider italiani e stranieri” e dunque “l’attivazione di un PoP presso Mix per Ionian è un passo naturale per fornire i nostri servizi al mercato”.

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Al via il primo test sull’identità digitale europea in Italia

Author: Wired

Si apre il cantiere del sistema di identità digitale europeo in Italia. E parte da giugno dalla provincia autonoma di Trento. Su Github, piattaforma che ospita servizi per lo sviluppo software, è comparso dal 25 maggio un progetto che ha colpito l’attenzione di chi bazzica nel settore. E che riguarda le specifiche tecniche della futura app per lo sviluppo di un sistema comune di identità digitale. A tirare le fila dell’operazione il Dipartimento per la trasformazione digitale della presidenza del Consiglio dei ministri, come confermato da fonti coinvolte nel progetto a Wired. Insieme a PagoPa, la società pubblica dei pagamenti controllata dal ministero dell’Economia e delle finanze (Mef), Istituto poligrafico e zecca dello Stato, che contribuisce alla realizzazione della carta di identità elettronica, e Fondazione Bruno Kessler, uno dei più importanti centri di ricerca italiani in ambito tecnologico, molto presente nei progetti che riguardano l’identità digitale.

Il test rientra nei piano di Potential, uno dei consorzi incaricati dalla Commissione di sperimentare il wallet. Ne fanno parte 148 componenti da 20 paesi dell’Unione, tra cui Austria, Grecia e Spagna. Francia e Germania sono al timone. In cassa ha 60 milioni di euro che dal 2023 investirà in applicazioni dell’identità digitale in ambito bancario e sanitario, dalle telecomunicazioni ai trasporti. Tra i casi d’uso, il ricordo al wallet comunitario per aprire un conto corrente, chiedere un mutuo, registrare una sim card o gestire la patente. Potential conta di consegnare il suo bouquet di servizi entro aprile 2025.

Il progetto:

  1. L’identità europea
  2. Il test in Trentino
  3. Il progetto su Github

Identità digitaleI nuovi contratti di Spid arrivano a giugno

I 40 milioni di euro del governo placano la diatriba con i gestori del sistema pubblico di identità digitale. La nuova convenzione è ancora da scrivere: avrà durata biennale

L’identità europea

Facciamo un passo indietro. Da tempo la Commissione europea coltiva l’ambizione di realizzare una app (il wallet) dove i cittadini possono caricare i propri documenti personali, come carta di identità, patente, ma anche tessera sanitaria o titoli di studi, e condividerli, quando richiesti, solo per lo stretto necessario. Esempio: se devo acquistare un superalcolico e dimostrare di essere maggiorenne, mi basterà mostrare alla casa del supermercato la sola data di nascita.

È un progetto a cui Bruxelles tiene molto, anche dopo l’esperienza della app per il green pass. Il wallet è la ricaduta più pratica della riforma del regolamento Eidas, che riguarda l’identità elettronica comunitaria, e la Commissione vuole lanciarlo nel 2025. Motivo per cui ha già distribuito 37 milioni per lo sviluppo e la realizzazione di alcuni test e conta per giugno di aver in mano un prototipo. In parallelo si muovono gli Stati. Il wallet non sostituirà i sistemi di identità nazionali. Tipo, se si pensa all’Italia, Carta di identità elettronica (Cie) o Sistema pubblico di identità digitale (Spid). Né il wallet impone di scegliere un sistema di identità univoco, proprio perché per natura sarà un contenitore di vari documenti.

Il test in Trentino

A giugno, con il lancio ufficiale di Potential, prenderà il via l’implementazione di una delle soluzioni di wallet che coinvolgono l’Italia con l’inizio dei test sui primi casi d’uso nel corso del 2024. La sperimentazione, che partirà dalla Provincia autonoma di Trento, riguarderà in particolare: l’identificazione e l’autenticazione per la fruizione dei servizi pubblici digitali, la patente di guida digitale e la ricetta medica elettronica. Grazie al coinvolgimento di PagoPa, a fare da wallet sarà Io, l’app dei servizi pubblici, individuata sia come modello per la definizione dello standard di wallet internazionale sia per la realizzazione del portafoglio digitale nazionale. Nelle scorse settimane è stato annunciato che entro il 2023 su Io si potranno caricare patente, tessera sanitaria e certificato elettorale. Prove generali del wallet europeo.

Il progetto su Github

La Commissione ha già fornito una serie di indicazioni tecniche. E il prototipo che svilupperà servirà da base per le applicazioni che ciascun Stato potrà personalizzare, proprio come è avvenuto con il green pass. Bruxelles ha definito la tecnologia di base di certificati, sistema di interscambio e strumenti di controllo e i Paesi l’hanno adeguato alle proprie necessità. Su Github il progetto è stato demarcato con un nome non chiaro: Italian Eidas wallet technical specifications, ossia specifiche tecniche del wallet italiano Eidas. In realtà, le specifiche tecniche le ha decise l’Europa. Quel che l’Italia dovrà fare sarà tradurle in un’applicazione pratica. Anche il riferimento a Eidas non è proprio, perché al wallet ci si riferisce con l’acronimo Eudi.