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Le 4 migliori università in Italia

Author: Wired

Sono quattro le migliori università italiane che sono state inserite tra le prime dieci nella classifica mondiale Qs ranking by subject 2024, che valuta la qualità degli atenei in base al livello di insegnamento delle singole discipline. Nonostante nessuna di queste riesca a rientrare nemmeno tra le prime cento della classifica generale, per quanto riguarda i singoli corsi di studio in Unione europea, siamo secondi solo all’Olanda, che conta ben 13 materie tra i primi dieci posti al mondo.

Le 4 italiane

Le quattro migliori università italiane, secondo il Qs ranking by subject 2024, sono La Sapienza di Roma, la Normale di Pisa, il Politecnico di Milano e la Bocconi di Milano. Nel dettaglio, sono invece ben otto i corsi di studio considerati. La Sapienza si conferma per il quarto anno consecutivo al primo posto al mondo per gli Studi classici, davanti anche a Oxford e Cambridge, e per la prima volta entra al decimo posto con Archeologia.

La Normale di Pisa perde una posizione ma si posiziona comunque quinta sempre per gli Studi classici. Il Politecnico di Milano arriva in settima posizione sia per Architettura che per Arte e Design e al nono posto per Ingegneria meccanica e aeronautica. Infine la Bocconi è settima per Marketing e nona per Economia gestionale.

Gli altri atenei in classifica

Oltre a queste ci sono altri 22 atenei tra i primi 50 al mondo per le discipline letterari e artistiche, come lo Iuav di Venezia, al quindicesimo posto, il Politecnico di Torino per Storia dell’arte, al diciottesimo posto, e l’università di Bologna per gli Studi classici, al diciannovesimo posto. Mentre la Luiss è l’unica università italiana tra le prime venti al mondo per gli studi di Politica internazionale, anche se ha perso cinque posti dallo scorso anno, passando dal quattordicesimo al diciannovesimo posto.

Qs world university ranking è una delle più note classifiche universitarie al mondo, assieme alla Academic ranking of world universities e alla Times higher education world university ranking. Viene pubblicata ogni anno da Quacquarelli Syumonds, società di consulenza e ricerca del Regno Unito specializzata nell’analisi del settore dell’istruzione superiore e fondata nel 1990 da Nunzio Quacquarelli e Matt Symonds.

A differenza di altre classifiche, il Qs ranking è incentrato principalmente sulla considerazione di cui un’università gode tra professori e ricercatori di altri atenei e presso i datori di lavoro, piuttosto che sulla quantità e la qualità della ricerca di ogni singola università. Questo criterio ha sollevato alcune critiche per il fatto che i consulenti di Qs possono aiutare le università a migliorare la loro posizione in classifica. Negli anni questa classifica si è comunque imposta come uno degli strumenti più usati per la scelta di un corso di studi per i nuovi iscritti e le nuove iscritte.

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L’Italia è uno dei paesi con meno startup per abitanti

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L’Italia occupa il decimo posto nella speciale classifica dei paesi Ocse con il minor numero di startup ogni 100mila abitanti. Lo certifica una delle graduatorie elaborate dal team di Utility Bidder per il progetto “Entrepreneurial Countries Index”, un vero e proprio studio effettuato dalla società di ricerca fondata nel 2009 da James Longley per stabilire quali siano le nazioni migliori per gli imprenditori.

In particolare, nel nostro paese ci sono solo 1,6 startup per ogni centinaio di migliaia di abitanti, 958 su 58,8 milioni di cittadini. Un dato per niente lusinghiero, che ci pone appena dietro la Repubblica Ceca, in cui le startup sono 153 su circa 10,5 milioni di abitanti (1,5 ogni 100mila). Al settimo posto, a pari merito, si trovano invece la Slovacchia (77 startup su circa 5,8 milioni di abitanti) e la Polonia (522 su 40,7 milioni), ferme a quota 1,3. Sesta la Colombia, con una startup ogni 100mila abitanti (531 su 52,2 milioni).

I primi cinque paesi di questa speciale classifica sommano addirittura meno di una startup per ogni centinaio di migliaia di abitanti. Quarte a pari merito ci sono la Turchia (580 su circa 86 milioni di abitanti) e la Corea del Sud (347 su circa 51,8 milioni), ferme a 0,7. Seconde il Giappone (608 su 123 milioni) e la Costa Rica (24 su 5,2 milioni) con 0,5.

Il peggiore di tutti i paesi Ocse è il Messico: nello Stato centroamericano le startup sono appena 550 a fronte di quasi 129 milioni di abitanti. Un dato che si traduce in 0,4 startup ogni 100mila messicani. Sono invece gli Stati Uniti la nazione più virtuosa, con 22,6 startup ogni 100mila abitanti. Di queste, solo il 76,8% sopravvive tuttavia al primo anno di vita (settimo tasso più basso).

Lo studio di Utility Bidder ha permesso di rilevare anche altri dati. Per esempio, la Svizzera si è rivelata la nazione che meglio rappresenta l’imprenditorialità, con un punteggio imprenditoriale di 8,51. La Colombia ha fatto registrare nel 2022/23 l’aliquota fiscale sulle società più alta nell’Ocse, pari al 35%, mentre l’Ungheria quella più bassa (9%).

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Le 10 parole del 2023

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Sono molte le parole del 2023 che ci hanno coinvolto, incuriosito o fatto arrabbiaredurante l’anno. Dall’intelligenza artificiale all’eco-ansia, passando per l’Impero romano e la carne coltivata in laboratorio. Fino al protagonista dell’estate: il granchio blu.

Nel 2023, siamo poi tornati a parlare di Medio Oriente, a causa di eventi tragici che hanno aperto nuove crisi umanitarie nella Striscia di Gaza e sollevato dubbi su come vengono gestite. E abbiamo ricominciato a parlare di femminicidio, non solo sui giornali o in televisione, ma nelle piazze, nelle strade e nelle chat, sollevando la necessità di assumere una responsabilità collettiva del fenomeno per risolverlo tutti e tutte insieme.

Abbiamo poi parlato molto di sciopero, almeno 1.571 volte nel 2023, del caldo estremo dovuto alla crisi climatica e del caro affitti, a causa dei prezzi superiori del 40% rispetto al 2019. Ecco quindi la classifica delle 10 parole che abbiamo sentito o usato più spesso nel 2023.

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10 avvenimenti storici avvenuti a Natale

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Nel corso della storia il 25 dicembre, il giorno di Natale secondo la tradizione cattolica, ha visto accadere molti eventi politici che hanno segnato il mondo e, in alcuni casi, lo hanno profondamente cambiato. Il 25 dicembre è originariamente il giorno della festa del Sol invictus, cioè del Dio Sole invincibile, che sconfigge l’oscurità invernale e ricomincia ad allungare le giornate per condurci verso la primavera. Il cristianesimo si appropriò della data per inglobare dentro di sé i riti pagani e associare Cristo al dio Sole.

Da allora, sono molti gli avvenimenti politici accaduti a Natale, come l’incoronazione di Carlo Magno e la nascita del Sacro romano impero, la prima sconfitta dei conquistadores spagnoli da parte della popolazione amerindia dei Mapuche o la dissoluzione dell’Unione sovietica. C’è stato un momento in cui il Natale è anche stato vietato, il 25 dicembre del 1647 in Gran Bretagna, mentre nel 2023 in Ucraina si festeggerà il Natale il 25 dicembre, invece che il 7 gennaio come fanno gli ortodossi che seguono il patriarcato russo. Ecco 10 avvenimenti che sono accaduti a Natale.

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Le 6 canzoni di Natale che hanno guadagnato di più

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Solo una ricorrenza è capace di richiamare puntuale la stessa compilation musicale anno dopo anno: è il Natale, che porta con sé la sua classica magia, ma anche centinaia di migliaia di dollari di diritti d’autore a chi ha legato le hit natalizie al proprio nome. Ma quali sono le canzoni che incassano di più? Il Sole 24 Ore ne ha individuate nove.

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Mariah Carey diventa Barbie per Natale

La regina delle feste con All I want for Christmas is you, dopo essere stata scongelata da un blocco di ghiaccio, ritorna sulle scene anche nei panni dell’iconica bambola Mattel

White Christmas di Bing Crosby

Il brano, scritto nel 1942 da Irving Berlin e tratto dal musical La taverna dell’allegria, è il singolo più venduto della storia, con 50 milioni di copie. Oggi, grazie alle piattaforme streaming, continua a risuonare nelle case e nelle automobili di tutti, producendo circa 320mila dollari all’anno di diritti.

All I want for Christmas is you di Mariah Carey

Mariah Carey lo sa bene e non fa nulla per nasconderlo ogni anno, quando “scongela” il suo brano più amato direttamente dai suoi profili social. Con 16 milioni di copie vendute, la canzone scritta nel 1994 dalla cantante di Huntington con Walter Afanasieff è la seconda tra quelle natalizie più vendute di sempre e ottiene ricavi annuali per circa 400mila dollari.

Rudolph the Red-nosed Raindeer di Gene Autry

Le altre renne non permettevano a Rudolph di giocare con loro. Ma un giorno Babbo Natale gli chiese di guidare la sua slitta, consegnandolo alla storia. Fantasia, certo, ma di quelle in grado di rendere felici tantissimi bambini. Per questo il brano country scritto da Johnny Marks e noto soprattutto nella versione del 1949 di Gene Autry ha venduto nel tempo 12,5 milioni di copie. I passaggi in radio del pezzo sono circa 300mila e le riproduzioni streaming del brano 75 milioni.

Last Christmas dei Wham

Gli ispiratori del Whamageddon possono mettersi l’anima in pace: nonostante i loro tentativi di boicottarlo, il brano scritto da George Michael nel 1984, quando insieme a Andrew Ridgeley formava l’indimenticato duo britannico di synth pop dei Wham, è anche quest’anno uno dei più ascoltati in giro per il mondo. In totale la canzone ha venduto 10 milioni di copie e incassa più o meno 300mila dollari di diritti all’anno.

Fairytale of New York dei Pogues

Nonostante sia a tutti gli effetti una canzone di Natale, perché racconta esattamente quel momento, il brano scritto da Shane McGowan (morto lo scorso 30 novembre) e Jem Finer tutto è meno che sdolcinato. È la storia cruda di due immigrati irlandesi sbarcati negli Stati Uniti per cercare fortuna che inizialmente ricordano i primi tempi del loro amore, poi si insultano e infine si rassegnano all’idea di essere incapaci di lasciarsi. La canzone ha venduto tre milioni di copie e frutta 400mila dollari all’anno di diritti.

Do they know it’s Christmas? della Band Aid

Nato in un periodo fitto di collaborazioni tra artisti a scopo benefico, il brano scritto da Bob Geldof e Midge Ure è stato interpretato dagli artisti più iconici degli anni Ottanta (tra i tanti, Bono, Sting, Simon Le Bon, George Michael, Phil Collins e Boy George) e ha permesso di raccogliere diverso denaro per la carestia in Etiopia. Il pezzo ha venduto 2,5 milioni di copie.