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Le dieci città più care del mondo nel 2023

Author: Wired

Quali sono le città in cui si spende di più per vivere bene (e quindi, in definitiva, le più care)? Per il secondo anno se lo è chiesto The Julius Bear Global Wealth & Lifestyle Report, che ha messo a confronto venti voci di spesa (dalle cene all’assicurazione sanitaria, dall’auto alle borsette) stilando una lista delle venticinque città più costose nel 2023. A trainare i consumi c’è l’Asia, che si porta a casa tutto il podio: al primo posto, metropoli più cara tra le care, c’è infatti Singapore.

Dalla lista delle prime dieci città per facoltosi restano fuori l’Italia (Milano si piazza al sedicesimo posto, mentre nel 2022 era al tredicesimo) e interi continenti, come l’Africa e l’Australia (per trovare Johannesburg e Sydney bisogna scorrere rispettivamente fino al numero 25 e al numero 17). Anche Parigi dice adieu alla top ten, scivolando dalla decima alla tredicesima posizione.

L’unità di misura

Ma come funziona il Lifestyle Index messo a punto dalla banca svizzera The Julius Bear? L’indice si basa su un paniere di dodici beni di consumo e otto servizi che rappresentano un esempio degli acquisti che potrebbero essere fatti da un HNWI, ovvero High Net Worth Individual (individuo ad alto patrimonio netto). Ci sono quindi gioielli, macchine, borsette e scarpe da donna, completi da uomo, cene in ristoranti di alto livello. Ma anche biciclette, tapis roulant, orologi, whisky, vino, case, prodotti tecnologici, scuole private, Master in Business Administration (MBA), assicurazione sanitaria. E ancora voli in business class, suite d’hotel, avvocati e Lasik, la tecnologia chirurgica per correggere i difetti della vista.

Insomma: tendenzialmente a venire analizzati sono i consumi dei ricchi nelle città per i ricchi, i cui dati sono stati raccolti tra novembre 2022 e marzo 2023. In generale, spiega il report, rispetto al 2022 il prezzo complessivo di beni e servizi è aumentato in media del 13 per cento nelle valute locali e del 6 per cento in dollari. Il documento, che si può consultare online, sottolinea anche come dopo la pandemia da Covid-19 si sia registrata una maggiore tendenza a spendere e a godere delle proprie ricchezze, nonostante le incertezze dovute per esempio alla guerra della Russia in Ucraina.

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Dai tabaccai si torna a pagare con il pos

Author: Wired

Dietrofront dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli (Adm): con una determinazione del 26 giugno 2023, immediatamente operativa, il direttore Roberto Alesse ha infatti cancellato l’esenzione che permetteva ai tabaccai di rifiutarsi di accettare pagamenti con carta di credito per la vendita di tabacchi, valori bollati e valori postali.

D’ora in poi per i consumatori sarà dunque possibile tornare ad acquistare, tra le altre, sigarette, francobolli e bolli tramite il pos. Una soluzione che era appunto stata interdetta a fine ottobre 2022 dall’Adm, andando incontro con tale decisione alle esigenze palesate dalla categoria dei tabaccai, in particolare dalla Federazione italiana tabaccai (Fit), per cui su tali prodotti “la bassa marginalità è incompatibile con i costi connessi all’accettazione della moneta elettronica”.

Una posizione, quest’ultima, emersa in seguito all’obbligo per commercianti, artigiani e professionisti ad accettare pagamenti elettronici imposto dal governo Draghi, entrato in vigore il 30 giugno 2022. A distanza di quasi un anno, i tabaccai tornano dunque a esserne soggetti anche riguardo alla vendita delle suddette tipologie di prodotti, pena una sanzione pecuniaria di 30 euro, a cui andrebbe sommato il 4% del valore totale della transazione per cui il pagamento non in contanti dovesse essere rifiutato.

Se a ottobre l’Adm aveva sposato le posizioni delle associazioni di categoria, il passo indietro del 26 giugno è stato dettato dalla necessità di “rivalutare – si legge nella determinazione – la questione in relazione alle condizioni a oggi offerte dagli intermediari bancari e finanziari per l’erogazione del servizio”. In particolare, il direttore Alesse sottolinea come risultino sul mercato variegate offerte del servizio pos, tra le quali tariffe flat, indipendenti dal numero di transazioni effettuate, e tariffe che prevedono il rimborso delle commissioni per i micro-pagamenti inferiori a 10 euro”.

Tali soluzioni contrattuali – è spiegato ancora nel documento – permettono di superare la criticità a suo tempo rappresentata dagli operatori e, in effetti, fanno anche venir meno la specificità, rispetto ad altri operatori e/o rispetto ad altri prodotti, posta alla base per l’adozione” del provvedimento di ottobre 2022.

La revoca di quest’ultimo amareggia ma non stupiscela Fit. In una nota pubblicata sul proprio sito ufficiale la federazione di categoria ammette che “si siano fatti grandi passi avanti, in considerazione dei volumi transati e dell’ammontare delle commissioni”, anche perché “temendo questo momento, la federazione ha continuato a lavorare per far sì che nel rispondere alla crescente richiesta di pagamenti elettronici da parte dei clienti l’incidenza sui ricavi delle relative commissioni fosse sempre più contenuta”. “Fit – si legge ancora – continuerà la sua azione in ogni sede per mitigare ulteriormente i costi della moneta elettronica a tutela della categoria”.

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Netflix non si dà pace con gli abbonamenti

Author: Wired

Netflix continua a rivedere le proprie strategie. L’ultima novità in ordine di tempo riguarda la rimozione dell’abbonamento base dal novero dei piani che la società di streaming permette di sottoscrivere. Una decisione che, come riporta Engadget, è stata per ora riservata unicamente agli utenti canadesi della piattaforma.

Ancora una volta lo Stato nordamericano viene dunque utilizzato dal colosso di Los Gatos come banco di prova delle proprie politiche aziendali: già in occasione della stretta sulla condivisione delle password con amici e parenti residenti altrove gli abbonati del paese erano stati tra i primi destinatari della misura.

Il cambio

Fino a questo momento sono stati in tutto quattro i piani di Netflix in Canada: accanto a quello base da 9,99 dollari canadesi c’erano quello base con pubblicità da 5,99 dollari, quello standard da 16,49 dollari e quello premium da 20,99 dollari. Chi si abbonerà da adesso in poi alla piattaforma potrà però scegliere solo tra gli ultimi tre, mentre è fatta salva la possibilità di continuare a usufruire dell’abbonamento base per chi lo ha sottoscritto in passato, almeno finché non lo disdirà o non lo cambierà.

La decisione della società fondata da Reed Hastings e Marc Randolph spingerà chi avrebbe scelto il piano più economico tra quelli esenti da pubblicità a scegliere se spendere di più per continuare a guardare i propri contenuti preferiti senza interruzioni o se pagare meno per l’abbonamento che prevede inserimenti di tipo commerciale. La più classica delle situazioni “win win” per Netflix, che da un lato incasserebbe di più direttamente dai clienti, dall’altro ingolosirebbe sempre più inserzionisti.

Nel primo trimestre del 2023, d’altronde, negli Stati Uniti la società di streaming ha incassato più dal piano base con pubblicità che da quello standard, nonostante il costo mensile del primo sia di soli 6,99 dollari e quello del terzo di 15,49 dollari. Al momento non è detto che la modifica attuata in Canada possa essere estesa agli utenti statunitensi. Probabilmente, però, questo potrebbe essere il momento giusto per passare dall’abbonamento standard a quello base senza pubblicità.

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Youtube sta per lanciare un canale di live shopping

Author: Wired

Il prossimo 30 giugno Youtube lancerà il suo primo canale commerciale ufficiale dedicato alla vendita in diretta, e lo farà in Corea del Sud. A darne notizia, come riporta l’agenzia Reuters è stata il 21 giugno la testata sudcoreana Yonhap.

Come spiega quest’ultima, la vendita di prodotti in live streaming ha già conquistato una fetta importante del mercato nel paese asiatico grazie alla strategia messa in campo e al successo conseguito dal gigante della tecnologia Naver. Un’esperienza che rende questa nuova avventura di Alphabet tutt’altro che un salto nel buio.

Il nuovo canale partirà come un progetto prova di 90 giorni e opererà in lingua coreana. Inizialmente, secondo quanto risulta a Yonhap e ad altre testate della Corea del Sud, Youtube fornirà alle aziende interessate una piattaforma di vendita dal vivo: nelle previsioni, dovrebbe trasmettere in streaming le televendite in diretta di circa trenta marchi diversi.

Come riporta l’agenzia Reuters, già a febbraio il capo della divisione commerciale di Google Philipp Schindler aveva affermato che, grazie alle entrate pubblicitarie di Youtube derivanti dalla scelta degli inserzionisti di preferirla a piattaforme concorrenti come per esempio TikTok, Alphabet ha “un grande potenziale per riuscire a rendere facile per le persone fare acquisti dai creator, dai marchi e dai contenuti che amano”.

Il mercato azionario non è rimasto indifferente all’indiscrezione rilanciata dall’agenzia Yonhap. Nella mattinata del 21 giugno le azioni di Naver sono infatti scese del 4%, mentre quelle di Lotte Shopping, un gigante coreano del commercio e dell’ecommerce, sono calate del 3,3% a fronte di un calo generale del mercato dello 0,5%.

Secondo le previsioni, il mercato del commercio in diretta in Corea del Sud dovrebbe crescere quest’anno fino a 10 trilioni di won, pari a 7,05 milioni di euro, quasi il quadruplo rispetto ai 2,8 trilioni registrati nel 2021. Attualmente Naver detiene una quota del mercato di circa il 60%, seguita da Kyobo Securities. Ma l’avvento di Alphabet è destinato a sparigliare le carte sul tavolo.

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Se ancora non hai la pec, è meglio farla

Author: Wired

Dal prossimo 6 luglio essere in possesso di un indirizzo di posta elettronica certificata, la pec, sarà praticamente obbligatorio. Come riporta Il Messaggero, proprio attraverso la pec sarà infatti possibile gestire, ricevere e inviare una serie di documenti nel rapporto con le pubbliche amministrazioni.

In particolare, le novità principali riguarderanno comunicazioni come raccomandate per multe, accertamenti, cartelle esattoriali, rimborsi e detrazioni fiscali. Su questi documenti, per i cittadini sarà possibile ricevere comunicazioni ufficiali con valore legale direttamente sul proprio indirizzo. Non prima, però, di averlo registrato sul portale dedicato all’indice nazionale dei domicili digitali (Inad).

Il domicilio digitale

La procedura è semplice: si può accedere al sito per attivare il proprio domicilio utilizzando lo spid, la cie o la carta nazionale dei servizi. In seguito, il sistema richiederà di scegliere e inserire il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, che diventerà appunto ufficialmente il proprio domicilio digitale.

Possono eleggere il proprio domicilio digitale mediante registrazione nell’Inad – si legge sul portale – le persone fisiche che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età e che abbiano la capacità di agire, i professionisti che svolgono una professione non organizzata in ordini, albi o collegi” e “gli enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione nell’Ini-pec”.

Cambio di rotta

Pur non essendo obbligatoria per legge, almeno per ora, tale sottoscrizione assume sin da oggi una valenza importante. Chi non è in possesso di un indirizzo pec continuerà infatti a ricevere le comunicazioni dalla pubblica amministrazione con gli strumenti classici: la raccomandata con ricevuta di ritorno o l’atto giudiziario, a seconda dei casi. Questi metodi continueranno ad avere dei costi di gestione chiaramente superiori a quelli legati all’invio di una pec. Questione che rappresenta un problema soprattutto per i professionisti.

Anche questi ultimi potranno avere benefici dall’istituzione dell’Inad. Gli avvocati, per esempio, potranno utilizzare il domicilio fiscale di clienti e controparti per inviare documenti, con la possibilità di accedere preventivamente all’indice nazionale dei domicili digitali per verificare di volta in volta se il destinatario è dotato di una pec attiva.