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Altro che capitalismo della sorveglianza: il vero nemico del digitale si chiama monopolio

Author: Wired

A rendere ambiguo il titolo è il fatto che Doctorow ritiene – come vedremo meglio più avanti – che il capitalismo della sorveglianza sia una conseguenza, e che il nemico vero stia molto più a monte: “Zuboff attribuisce un peso eccessivo e ingiustificato al potere di persuasione delle tecniche di influenza basate sulla sorveglianza dei cittadini”, scrive Doctorow. “La maggior parte di queste tecniche non funziona granché bene, e quelle che funzionano non durano a lungo. Al contrario, Zuboff è piuttosto serena riguardo a quarant’anni di pratiche antitrust permissive che hanno consentito a una manciata di aziende di dominare internet”.

È la tesi centrale di Doctorow, ripetuta più e più volte nel corso di questo breve, incisivo e a tratti illuminante pamphlet: “Le campagne che mirano a influenzare il target, e che cercano di sostituire le convinzioni esistenti e corrette con altre del tutto false, hanno un effetto piccolo e temporaneo, mentre il dominio monopolistico sui sistemi informativi ha effetti massicci e duraturi. (…) Se la nostra preoccupazione è il modo in cui le aziende ci precludono la capacità di decidere autonomamente e di determinare così il nostro futuro, l’impatto della posizione dominante supera di gran lunga quello della manipolazione e deve essere al centro della nostra analisi”.

Ed eccolo, quindi, il vero nemico della privacy e dei nostri diritti: il monopolio. Il problema è noto da tempo (e Doctorow ripercorre anche cosa abbia generato, durante la presidenza Reagan, questa distorsione rispetto alle politiche antimonopolistiche del passato): Google detiene il 90,8% del mercato dei motori di ricerca, Amazon è attore dominante nel mercato degli e-commerce e del cloud, Meta raggiunge con le sue varie piattaforme (Facebook, Instagram, Whatsapp) la mostruosa cifra di 3,9 miliardi di persone, ecc.

Il regime di monopolio

In quasi tutti i settori tecnologici, siamo di fronte, quando va bene, a un duopolio (o un ristrettissimo oligopolio) e, quando va male, a un vero e proprio monopolio. È qui, e non nel capitalismo della sorveglianza strettamente inteso, che secondo Doctorow si nascono i maggiori pericoli.

Prendiamo il caso di Google, che ha rafforzato enormemente il suo potere acquistando potenziali concorrenti e tecnologie pubblicitarie come DoubleClick (tramite il quale dissemina le sue inserzioni), in quest’ultimo caso in violazione peraltro dello “storico principio antitrust della separazione strutturale, che vietava alle aziende di possedere filiali in concorrenza con i propri clienti.

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Le big tech devono molte spiegazioni all’Europa

Author: Wired

Una dopo l’altra, tutte le grandi società tecnologiche stanno cadendo sotto la lente del Digital services act (Dsa), il regolamento dell’Unione europea che disciplina i servizi digitali in maniera molto più stringente del passato, per meglio tutelare utenti e consumatori. Dopo aver richiamato le cinesi Aliexpress e TikTok, così come Meta e YouTube, la Commissione europea ha messo nel mirino Amazon, chiedendo formalmente maggiori informazioni sulle misure a tutela dei consumatori.

Le nuove disposizioni del Digital services act entrate in vigore a fine agosto, tra le altre cose, impongono alle principali piattaforme online di eliminare contenuti o prodotti illegali e dannosi, se non vogliono incappare in pesanti multe pari fino al 6% del loro fatturato globale. Nel caso di Amazon, la Commissione ha richiesto di essere informata sulle misure adottate per ottemperare agli obblighi del Dsa relativamente alla diffusione di prodotti illegali e la tutela dei diritti fondamentali.

Il gigante dell’-commerce avrà tempo fino al 6 dicembre 2023 per fornire tutte le informazioni richieste alla Commissione. Sulla base di quanto ricevuto e a seconda della valutazione di conformità rispetto agli obblighi europei, l’esecutivo deciderà cosa fare nelle fasi successive. Nell’eventualità in cui l’azienda non abbia fornito informazioni adeguate, non abbia adottato le misure richieste dal Dsa o non risponda entro i termini stabiliti, potrà venire aperto contro Amazon un procedimento formale, ai sensi dell’articolo 66 del regolamento, che può portare la compagnia a essere sanzionata.

La stessa identica ingiunzione è stata formulata, lo scorso 6 novembre, anche contro Aliexpress, sempre in materia di protezione dei consumatori dalla diffusione di prodotti illegali o non sicuri venduti all’interno dell’Unione europea, comprese medicine e prodotti farmaceutici falsi. Un problema di portata sempre più vasta, secondo la Commissione.

Oltre all’ecommerce, il Digital services act opera anche a tutela del settore dell’informazione e negli ultimi mesi la Commissione ha richiamato anche Meta (a cui fanno capo Facebook, Instagram e Whatsapp), TikTok, YouTube e Snap chiedendo di spiegare che misure hanno messo in campo per salvaguardare i minori online e contrastare la disinformazione, la diffusione di contenuti violenti, legati al terrorismo o incitamenti all’odio

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Meta pensa di connettere Whatsapp alle chat altrui

Author: Wired

Con il Digital Markets Act la Commissione europea ha selezionato a inizio settembre le grandi piattaforme che reputa gatekeeper, ovvero potenti a tal punto da essere in grado di influenzare il mercato interno, modellare i rapporti tra utenti e aziende online e ritagliarsi una posizione difficilmente contendibile.

Pochi giorni dopo, l’11 settembre, è arrivata la prima di quella che si preannuncia una lunga serie di azioni che i colossi indicati, ovvero Alphabet, Amazon, Apple, Meta, Bytedance e Microsoft metteranno in campo per assoggettarsi al Digital markets act (Dma). Come riporta TechCrunch, rilanciando WABetaInfo, Meta ha infatti lanciato una nuova versione beta di Whatsapp per Android che presenta una nuova schermata dedicata alle “chat di terze parti”.

Alla stregua di Messenger, anche l’app del colosso di Menlo Park è finita sotto la lente d’ingrandimento dell’esecutivo europeo per quanto riguarda la messaggistica. Nel dettaglio, sin dal 2022 l’Unione europea ha sottolineato quanto l’interoperabilità tra le piattaforme di tale tipo fosse fondamentale per tutelare gli operatori più deboli, spingendo di fatto Whatsapp e Messenger a mettere in condizione i propri clienti di scambiare messaggi con gli utenti, per esempio, di Signal, Telegram o Snapchat.

Nonostante abbia a disposizione sei mesi di tempo per uniformarsi al Dma, con scadenza quindi prevista a marzo 2024, sembra che Meta abbia scelto di muoversi subito per apportare le dovute modifiche a Whatsapp, almeno per quanto riguarda i messaggi di testo. Resta infatti da stabilire come la società di Mark Zuckerberg agirà per rendere interoperabile la propria app per quanto concerne l’invio di documenti e messaggi audio e le videochiamate, e come si muoverà invece per adeguare ai nuovi precetti Messenger.

A salvarsi è invece stato, per ora, Apple iMessage: il colosso di Cupertino ha infatti dichiarato che il proprio servizio di messaggistica non raggiunge ancora la soglia di 45 milioni di utenti.