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Pillola contraccettiva e Prep gratis: da quando?

Author: Wired

La pillola contraccettiva e i farmaci di prevenzione per non contrarre il virus dell’Hiv saranno forniti gratuitamente a chiunque ne abbia bisogno. È la storica decisione presa dal Comitato prezzi e rimborsi dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa), organo indipendente sulle cui decisioni non può intervenire il governo, in occasione della giornata nazionale per la salute della donna.

L’Aifa ha lavorato mesi per arrivare a queste conclusioni, affrontando valutazioni tecniche e le difficoltà riscontrate nel ridefinire il prezzo dei farmaci, che vanno rinegoziati quando diventano rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale, ma alla fine la Commissione tecnico scientifica dell’agenzia è riuscita a completare i lavori prima della scadenza.

E così, finalmente, la pillola contraccettiva è stata resa rimborsabile, e quindi gratuita per tutte le donne, senza alcun limite d’età. Allo stesso modo, l’Aifa ha stabilito che il Servizio sanitario nazionale dovrà anche rimborsare le spese, a tutti e tutte e senza limiti di età, per i farmaci necessari alla cosiddetta Prep, cioè la profilassi pre esposizione al virus dell’Hiv.

Il costo per le casse dello Stato, per la pillola contraccettiva, sarà di circa 140 milioni di euro all’anno, mentre per quanto riguarda i farmaci necessari per la Prep, si legge su Quotidiano Sanità, il costo è estremamente minore e ha un impatto sugli ospedali di poche centinaia di migliaia di euro.

La decisione del Comitato prezzi e rimborsi passera questa settimana al Consiglio di amministrazione dell’Aifa, per poi essere pubblicata sulla Gazzetta ufficiale e diventare operativa. Secondo il Sole 24 ore la riunione dovrebbe avvenire già il 26 di aprile e in quell’occasione sarà sicuramente dato il via libera alla gratuità dei farmaci per Prep.

Mentre per la pillola contraccettiva potrebbe volerci una settimana in più, per dare il tempo all’Agenzia di valutare meglio quali tra i tanti medicinali disponibili potranno essere resi effettivamente rimborsabili e gratuiti.

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App Io, tutti i documenti che il governo vuole portare a bordo

Author: Wired

Il portafoglio digitale dell’app Io, l’applicazione dei servizi della pubblica amministrazione, potrebbe presto contenere la patente, la tessera sanitaria e il voting pass, corrispettivo dell’odierna tessera elettorale. Tutto in digitale. A comunicarlo lo scorso 19 aprile ai membri della commissione Affari costituzionali della Camera è stato direttamente il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione Alessio Butti, confermando gli investimenti dell’esecutivo sull’applicazione gestita da PagoPa, società pubblica controllata dal ministero del’Economia e delle finanze.

La previsione del governo, come riporta l’agenzia Ansa, è in particolare quella di dar vita già “entro la fine dell’anno” a “un ulteriore importante cambiamento positivo per la vita quotidiana di tutti gli italiani“. Nel confronto con i deputati, Butti ha passato in rassegna tutti gli altri interventi che la maggioranza sta valutando di mettere in campo per procedere spedita nel processo di trasformazione digitale della pubblica amministrazione, come per esempio il cloud, su cui “siamo allineati – ha affermato – ai target posti dal piano nazionale di ripresa e resilienza”. Nel dettaglio, il prossimo target per il paese è fissato al 30 settembre, data in cui le 1.064 pubbliche amministrazioni locali dovranno aver definito il processo di migrazione.

Gli altri progetti

Un’altra novità riguarderà sempre PagoPa, che potrà disporre di una piattaforma per le notifiche digitali.Questo servizio – ha spiegato il sottosegretario – consentirà la progressiva digitalizzazione di tutte le comunicazioni a valore legale che le pubbliche amministrazioni inviano a cittadini e imprese”.

In tema di sanità, prosegue invece il lavoro del governo sul fascicolo sanitario elettronico. I prossimi step sono tre: entro giugno 2024 sarà realizzato l’ecosistema dei dati sanitari; entro dicembre 2025, l’85% dei medici di medicina generale alimenterà il fascicolo; entro fine 2026 dovranno averlo adottato tutte le regioni.

Per quanto riguarda i trasporti, sarà presto avviato il progetto mobility as a service, finanziato dal Pnrr con 40 milioni e dal Fondo complementare con altri 17. In tredici città e territori saranno lanciate delle piattaforme digitali che permetteranno ai cittadini di accedere a servizi di trasporto multimodali.

Il sottosegretario si è infine soffermato su un tema che negli ultimi mesi è stato molto discusso, quello delle identità digitali, ricordando che l’obiettivo dell’esecutivo a riguardo è “razionalizzare l’intero ecosistema” e valorizzare quanto è già stato realizzato. “Le principali azioni che stiamo realizzando – ha affermato – sono sei: la proroga e il rinnovo delle convenzioni con gli Id provider Spid; l’avvio della revisione dell’assetto normativo; l’individuazione delle misure necessarie per accelerare la diffusione della Cie; la definizione delle misure per valorizzare il patrimonio informativo pubblico, in particolare anagrafi e interoperabilità; la creazione e adozione di attributi qualificati digitali e la garanzia della cura degli interessi nazionali in ambito europeo”.

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Ezio Greggio, l’appello sulla “mamma vera” è tutto sbagliato

Author: Wired

È tutto sbagliato il messaggio di Ezio Greggio sul neonato lasciato alla clinica Mangiagalli di Milano. Talmente sbagliato da lasciare quasi senza speranza. È tutto però molto utile, perché evidentemente ancora serve tanto lavoro, per capire cosa non funziona in questo paese nel parlare di un pezzo di temi legati alla genitorialità. E anche, come avevamo visto qualche giorno fa, a evidenziare il modo in cui il clima sta progressivamente assestandosi su posizioni scivolose, grigie, ipocrite come quelle di una buona fetta della maggioranza di governo. La storia del neonato lasciato alla culla per la vita della Clinica Mangiagalli di Milano la mattina di Pasqua andava riportata anziché raccontata o, peggio, romanzata con le sfumature melodrammatiche che puniscono e giudicano una scelta condotta a quanto pare – se proprio vogliamo entrare nella situazione e nelle parole di chi ha lasciato il bambino – con lucidità e responsabilità.

È tutta una negazione perché, davvero, trovare un caso che in così pochi passaggi abbia prodotto così tanti danni è davvero complesso. Dalla mancanza di professionalità e di discrezione dell’istituto, che ha diffuso la lettera lasciata da qualcuno nella culla, alla grottesca esegesi che si è scatenata intorno a quelle righe nello scomposto tentativo di disegnare un identikit della madre, fino al solito fracasso di medici e vip assortiti che si buttano – vai a capire perché – dentro storie che non sono le loro e su cui non hanno nulla di sensato da dire. Il silenzio, la riflessione, la discrezione, queste sconosciute.

Le parole di Greggio sulla “mamma vera”

Fra questi non solo Fabio Mosca, primario di Neonatologia dell’Irccs Policlinico di Milano, che ha invitato la persona che l’ha lasciato a ripensarci, ma anche Ezio Greggio, che nel suo appello affidato a un video – su cui poi è tornato nella mattinata di martedì 11 aprile – ha sostanzialmente chiesto alla madre di tornare sulla sua decisione perché la madre adottiva non sarebbe una “mamma vera”: “C’è tutto il reparto che ti sta aspettando nell’anonimato, nessuno dirà nulla… nomi, cognomi. Avere un bambino è una grande fortuna. Ci metteremo in tanti a darti una mano. Prendi il tuo bambino che merita una mamma vera, non una mamma che poi dovrà occuparsene ma non è la mamma vera”.

Sono gli altri a “non aver capito il senso” di questo appello, ha replicato Greggio all’ondata di repliche che ha incassato nelle ore seguenti. Certo Greggio, è sempre colpa di chi legge parole fin troppo chiare e spietate, non di chi le sputa senza rifletterci un attimo sui social media, non si sa con quali obiettivi. Non c’è pelosa retromarcia che possa cancellarlo: c’è un pezzo di paese, nel 2023, che non considera i genitori adottivi dei genitori a tutti gli effetti. Con tutto quello che ne consegue nelle dinamiche quotidiane della vita sociale e in termini di tossica sottocultura che alimenta. Fine.

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Donne, in Italia la ricerca del lavoro è un’impresa

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Confusione, solitudine e rassegnazione sono i sentimenti più comuni che le donne provano durante la ricerca di un posto di lavoro. A dirlo sono i risultati dell’osservatorio su Ostacoli e discriminazione contro le donne nella ricerca lavoro realizzato da Jobiri, l’azienda che ha creato un consulente digitale di carriera basato sull’intelligenza artificiale. Secondo quanto riportato dai dati contenuti nello studio, ottenuti grazie a un questionario somministrato a 1.053 donne di età compresa tra i 18 e i 65 anni provenienti da varie zone di Italia nei mesi tra gennaio e ottobre 2022, oltre il 70% delle candidate si sente molto confusa durante la ricerca, mentre il 69% prova solitudine, il 45% rassegnazione, il 40% ansia, il 22% paura, il 16% rabbia e il 10% ha sperimentato addirittura una sensazione di perdita di identità.

A questi stati emotivi si aggiungono anche una serie di pregiudizi e discriminazioni: il 71% delle candidate dichiara di aver subito una discriminazione nella ricerca di un posto di lavoro in quanto donna, il 46% in riferimento all’età e il 38% all’aspetto fisico. In fase di colloquio, il 56% ha ricevuto domande sul matrimonio, al 55% delle intervistate sono state sottoposte domande sulla salute e sulla cura dei figli mentre rispettivamente il 16%, il 12% e l’11% hanno subito apprezzamenti a sfondo sessuale, domande sulle preferenze sessuali e contatti fisici inopportuni.

Anche in fase contrattuale non mancano le esperienze negative: il 12% delle intervistate dichiara di aver ricevuto una promessa assunzione o favori in cambio di prestazioni sessuali, mentre addirittura il 68% un’offerta di stipendio più bassa rispetto ai colleghi uomini. La ricerca ha inoltre evidenziato difficoltà nella compilazione di un curriculum vitae efficace, a causa di un gap di competenze o esperienze. L’83% delle candidate, infatti, non ha avuto accesso – o ha potuto partecipare solo limitatamente – ai corsi formativi durante il periodo di maternità, mentre il 41% lamenta una nulla o limitata coerenza del percorso formativo rispetto all’annuncio. Si riscontra particolare difficoltà anche nella valorizzazione dei traguardi sul curriculum: nell’86% dei casi la descrizione dei risultati raggiunti è nulla, mentre nell’85% c’è una mancanza o un limitato utilizzo di parole chiave.

Tra i problemi più comuni alla base del mancato superamento dei colloqui c’è, nella fase di preparazione, il mancato raccoglimento delle informazioni sul recruiter nell’83% dei casi e l’assenza di una preparazione consona per affrontare l’incontro. Durante il colloquio, quasi 7 candidate su 10 hanno difficoltà a interagire efficacemente con il recruiter e il 66% non riesce a gestire efficacemente i video-colloqui, mentre nella fase di successiva, gli errori più comuni sono, nel 92% dei casi, non inviare la mail di ringraziamento dopo il colloquio, e nell’82% dei casi, non concentrarsi su ciò che è possibile migliorare. Infine, l’osservatorio si concentra sulle criticità dei servizi al lavoro nel mondo della formazione: il 98% delle intervistate segnala un’inadeguatezza del software, il 97% insufficienti banche dati con offerte.

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Petrolio e gas, perché i colossi stanno chiedendo risarcimenti miliardari agli stati

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A proposito dell’entità dei rimborsi, si legge nel report:

Dal 2013 al 2018 l’Unione europea ha dovuto far fronte a un importo totale annuo medio di 5,5 miliardi di dollari: anche se le cause sono diminuite, gli importi medi si sono alzati. E in tutti gli altri paesi del mondo la media di richieste di risarcimento è arrivata a 25 miliardi di dollari all’anno a partire dal decennio scorso 

Su circa 620 miliardi di dollari richiesti dal 2000 tramite meccanismi Isds ne sono stati riconosciuti 96 miliardi a favore di investitori privati (9 da nazioni dell’Unione europea). Circa il 90% del totale degli Isds che hanno portato risarcimenti ad aziende nel mondo negli ultimi vent’anni ha riguardato progetti minerari ed estrattivi (77%), finanziari e assicurativi (7%), gas e approvvigionamento di energia elettrica (6%).

Il Trattato sulla carta dell’energia

Ogni Isds si basa quindi su un Ipa specifico: ad esempio, il Nafta (il famoso trattato di libero scambio nordamericano) è l’accordo che ha permesso a TransCanada di attivare un Isds per agire contro il provvedimento di stop all’oleodotto Keystone XL. Le cause via Isds che adesso stanno innescando più problemi alla transizione energetica sono legate al Trattato sulla carta dell’energia, l’Energy Charter Treaty (Cte). Come si legge nella risoluzione del Parlamento europeo citata in precedenza, oggi il Cte è l’accordo di investimento più controverso al mondo e che va urgentemente riformato: l’invito alla Commissione europea è poi di garantire che un Cte rivisto proibisca immediatamente agli investitori in combustibili fossili di citare in giudizio le parti contraenti per aver perseguito politiche di eliminazione graduale di queste fonti energetiche, in linea con gli impegni assunti nell’ambito dell’Accordo di Parigi. 

Ratificato da 50 paesi e firmato nel 1993, il Cte mira a proteggere gli investimenti energetici dei suoi aderenti. Se spesso in passato le controversie andavano a tutelare imprese europei in paesi extra-comunitari, da diversi anni sono le nazioni europee che sono diventate oggetto dei maxi-risarcimenti richiesti da aziende estrattive di tutto il mondo. Per questo, qualche mese fa e sull’onda della risoluzione del Parlamento europeo che metteva nel mirino soprattutto il Cte, la Polonia ha annunciato il ritiro dal Trattato e rapidamente l’hanno seguita Spagna, Francia, Germania, Slovenia e Paesi Bassi

Anche le ong in tribunale

La diffusione degli Isds innescati soprattutto per preservare di fatto l’estrazione di risorse fossili e non rinnovabili è un ostacolo enorme ai sempre troppo timidi tentativi delle nazioni di promuovere politiche climatiche. Al momento, si stima che sforeremo l’innalzamento dei gradi promesso alla Cop15 di Parigi: altro che 1,5, al momento andiamo dritti verso i +2,8 gradi. Per rientrare nei ranghi, dovremmo dimezzare l’estrazione di gas, petrolio e carbone da qui al 2050

incendiSe non salviamo il pianeta ora non ci riusciremo mai più

L’unico modo per scongiurare gli effetti catastrofici e irreversibili della crisi del clima è intervenire subito in modo deciso, come sottolinea l’ultimo rapporto dell’Onu

Così, anche alcune ong hanno cominciato ad usare i tribunali per forzare, in ottica “green”, le politiche nazionali: è quello che succede nelle Climate litigations, come Giudizio Universale. Oppure è il caso di Greenpeace, che ha portato in causa per la prima volta la Commissione europea per aver incluso il gas fossile e l’energia nucleare nella lista degli investimenti sostenibili della cosiddetta tassonomia verde. È anche il caso di ClientEarth, organizzazione non governativa e azionista di Shell, che ha portato in tribunale quest’ultima per non aver ancora redatto un piano che le consenta di rispettare gli obiettivi degli Accordi di Parigi. E sempre ClientEarth, insieme alla Lipu-Birdlife Italy, ha porta in causa la Ferrero per lo sfruttamento delle monocolture a nocciola in Lazio che sta depauperando la biodiversità locale, soprattutto nell’area del lago di Vico. Nella zona infatti, dopo 50 anni di coltivazioni intensive di oltre 21mila ettari a noccioli, le acque del lago registrano concentrazioni allarmanti di fitofarmaci e di sostanze chimiche di vario tipo. Sostanze che finiscono anche nelle acque potabili delle aree limitrofe. Un altro esempio di come la battaglia climatica e per la tutela della biodiversità trovi sempre più spazio nelle aule dei tribunali.