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La Cina lancia nuove esercitazioni militari su Taiwan per “punizione”

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Sale di nuovo la tensione tra Cina e Taiwan. Infatti, i militari cinesi hanno avviato esercitazioni su larga scala intorno a Taiwan, definendole una “punizione” per dei cosiddetti “atti separatisti“, pochi giorni dopo che sull’isola si è insediato un nuovo presidente Lai Ching-te, che ha chiesto a Pechino di cessare le sue tattiche intimidatorie. Come parte delle esercitazioni, decine di caccia cinesi hanno condotto attacchi simulati contro “obiettivi militari di alto valore” insieme a cacciatorpediniere, fregate e motovedette missilistiche. Le esercitazioni circonderanno Taiwan e rappresentano il primo vero test per il neo-eletto Lai Ching-te, mentre tenta di gestire le relazioni con Pechino.

La Cina ha dichiarato di aver lanciato esercitazioni militari congiunte coinvolgendo esercito, marina, aviazione e forza missilistica in aree intorno a Taiwan. Le operazioni si stanno svolgendo nello Stretto di Taiwan, che separa l’isola dalla Cina continentale, così come a nord, sud ed est di Taiwan. Il Colonnello della Marina cinese Li Xi, portavoce del comando, ha definito le esercitazioni una “punizione per gli atti separatisti delle forze indipendentiste di Taiwan e un serio avvertimento contro interferenze e provocazioni da parte di forze esterne“.

Un’escalation controllata

Il ministero della Difesa di Taiwan ha condannato le esercitazioni cinesi come “provocazioni irrazionali e azioni che minano la pace e la stabilità regionali“. In una dichiarazione, il ministero ha detto di aver dispiegato forze marittime, aeree e terrestri in risposta alle esercitazioni. Le operazioni cinesi di questo tipo sono spesso rivolte tanto a un pubblico interno quanto internazionale. I media militari e statali cinesi hanno prodotto materiale di propaganda e messo in evidenza la copertura delle esercitazioni. La retorica dei media statali cinesi e dell’esercito ha presentato le esercitazioni come una prova generale per accerchiare Taiwan.

Sotto la guida di Xi Jinping, la Cina è diventata più assertiva e ha intensificato la pressione diplomatica, economica e militare su Taiwan. Gli aerei da guerra cinesi ora volano regolarmente nella zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan e attraversano la Linea mediana nello Stretto di Taiwan, un punto di demarcazione informale che Pechino non riconosce ma che fino a pochi anni fa aveva in gran parte rispettato. La Cina ha anche esercitato pressione su Lai nei giorni precedenti la sua inaugurazione: il 15 maggio, pochi giorni prima che Lai assumesse l’incarico, Taipei ha dichiarato di aver rilevato quarantacinque aerei militari cinesi intorno a Taiwan, il numero più alto in un solo giorno quest’anno.

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6 cose da sapere sulle elezioni di Taiwan

Author: Wired

Questo clima da confronto imminente non sembra appassionare più di tanto l’elettorato taiwanese. In passato il voto era molto più centrato sul tema identitario e sui rapporti con Pechino. Era stato così nel 2016, sull’onda delle proteste del “Movimento dei girasoli” e 2020, quando in pochi mesi si erano ribaltati i sondaggi a favore del Dpp in seguito alla repressione dell’autonomia di Hong Kong, che secondo la prospettiva di Pechino dovrebbe essere lo stesso modello da applicare a Taiwan.

In cima agli interessi degli elettori ci sono questioni economiche e sociali. In primis i prezzi delle case, il salario minimo e l’occupazione, ma anche il sistema educativo e la sicurezza. Molto citato anche il tema energetico, con le riserve taiwanesi molto dipendenti dall’esterno, e le posizioni contrapposte sul nucleare, che vedono il Dpp contrario e i due partiti di opposizione a favore. Si è parlato anche di diritti, ma dopo la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso nel 2019 non sono previsti altri passi avanti drastici su un tema sensibile come la pena di morte, che seppur non eseguita da diverso tempo resta ancora in vigore.

Il ruolo dei chip

Il voto è importante anche per le sue implicazioni economiche. Taiwan è la ventiduesima economia al mondo ed è la patria della fabbricazione e assemblaggio dei semiconduttori. Il colosso Tsmc possiede il 52,9% del mercato nel settore fabbricazione e assemblaggio. I primi due competitor sono la sudcoreana Samsung Electronics con il 17,3% e l’altra taiwanese Umc con il 7,2%. Stati Uniti e Cina sono solo al quarto e quinto posto con Globalfoundries (6,1%) e Smic (5,3%). Circa due miliardi e mezzo di persone utilizzano ogni giorno prodotti contenenti semiconduttori prodotti da Tsmc. Tutto il mondo se n’è accorto durante la crisi per la carenza dei microchip avviata durante la pandemia. Un dominio non solo quantitativo, ma anche qualitativo, visto che è l’unica azienda insieme alla sudcoreana Samsung a essere in grado di fabbricare microchip a 3 nanometri, i più avanzati in circolazione.

Gli spostamenti e le manovre di Tsmc sono un caso sempre più internazionale, ma vengono osservate con estrema attenzione anche a Taiwan, con effetti sul dibattito politico. In concomitanza delle notizie delle aperture degli stabilimenti all’estero, soprattutto negli Usa, l’opposizione del Kuomintang ha offerto una sponda al timore, già diffuso da più parti, che la globalizzazione dei chip possa mettere a rischio il futuro dell’economia di Taiwan.

Gli scenari post voto

Prima del silenzio elettorale in vigore dal 3 gennaio, tutti i sondaggi davano Lai come favorito con una forbice che, a seconda dei casi, passava da un minimo del 3% a un massimo del 10%. Non è una vittoria scontata. Con un’opposizione unita, la vittoria di Hou e Ko potrebbe essere garantita.

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I paesi che andranno al voto nel 2024

Author: Wired

Il 2024 sarà l’anno in cui metà della popolazione mondiale andrà a votare. Considerando elezioni nazionali, comunitarie e locali le urne saranno aperte in 76 paesi, pari al 51% della popolazione mondiale. Tuttavia, in almeno la metà di questi stati è probabile che non porteranno a cambiamenti significativi nella struttura di chi detiene il potere, perché le consultazioni non saranno libere o veramente democratiche, date le leggi contro la libertà di parola o di associazione presenti in molti regimi.

Oltre alle elezioni europee, che chiameranno al voto i circa 400 milioni di elettori ed elettrici dei 27 stati membri, si voterà anche in otto dei dieci paesi più popolosi al mondo, cioè Bangladesh, Brasile, India, Indonesia, Messico, Pakistan, Russia e Stati Uniti, e in 18 paesi dell’Africa, che contribuiscono al conteggio con quasi 300 milioni di aventi diritto al voto, per un totale di 4 miliardi di persone.

Secondo l’Economist però, su 71 paesi considerati dal Democracy index, solo 43 avranno elezioni pienamente libere e democratiche, tra cui i 27 stati dell’Unione europea, mentre gli altri 28 non soddisfano le condizioni di base per parlare di votazioni davvero libere e giuste. In particolare, le elezioni saranno più che altro una mera formalità in paesi come Bangladesh, dove il governo ha avviato una campagna di attacco contro il premio Nobel per l’economia Mohammad Yunus, o Pakistan, retti regimi che combinano elementi di democrazia e autoritarismo, ma soprattutto in Russia, dove vige un regime pienamente autoritario e in cui la rielezione di Vladimir Putin è certa, e in Iran.

Limitandoci invece alle sole elezioni nazionali, siano esse presidenziali o legislative, i paesi chiamati al voto saranno 56 e rappresentano più del 40% del prodotto interno lordo globale. In questo caso ristretto, l’elettorato coinvolto è pari a circa il 41% della popolazione mondiale. A dare il via alla tornata presidenziale sarà Taiwan, il 13 gennaio 2024, con un voto che segnerà il futuro delle sue relazioni con la Cina. Mentre a chiuderla saranno gli Stati Uniti, dove una possibile rielezione dell’ex presidente Donald Trump potrebbe scatenare imprevedibili reazioni in tutto il mondo.

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La base cinese a Cuba che preoccupa gli Stati Uniti

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Quattro fonti ufficiali, benché anonime, del governo statunitense hanno detto a Cnn e Wall Street Journal che Cuba e Cina hanno stretto un accordo per consentire a Pechino di costruire una base di addestramento militare. Secondo i funzionari responsabili della soffiata, la nuova struttura potrebbe ospitare in un prossimo futuro truppe cinesi “permanenti” sull’isola e favorire lo spionaggio contro gli Stati Uniti. La base a Cuba si troverebbe a soli 60 chilometri dalla costa della Florida.

Scontata la smentita dell’Avana e Pechino, i portavoce del Pentagono e del Consiglio di sicurezza nazionale hanno definito la notizia “non accurata”, che non è proprio come negare. Secondo il sito Politico, i negoziati tra Cina e Cuba sulla struttura sono ancora in corso, anche se la Casa Bianca avrebbe già protestato segretamente con i governi cinese e cubano.

Le quattro fonti anonime sostengono la mossa della Cina sia una risposta al coinvolgimento dell’esercito statunitense a Taiwan. Taiwan dista circa 100 miglia dalla Cina, una distanza simile a quella tra la Florida e Cuba. Lo scoop sulla potenziale struttura militare arriva due settimane dopo che, l’8 giugno, il Wall Street Journal ha riferito che la Cina avrebbe raggiunto un accordo di massima con L’Avana per la creazione di una base dedicata alla sola raccolta di informazioni. Un funzionario dell’amministrazione Biden, parlando in forma anonima con l’Associated Press, ha confermato la notizia aggiungendo che la Cina sta usando Cuba per spiare gli Stati Uniti dal 2019.

Cuba “regalata” alla Cina

In questi ultimi anni, la Cina ha lavorato alacremente per coltivare i suoi legami con Cuba. Il presidente cubano Miguel Díaz-Canel Bermúdez ha visitato ufficialmente la Cina nel novembre 2022. Quando è stato rieletto ad aprile, ha ricevuto un messaggio di congratulazioni dal leader cinese Xi Jinping, che affermava che le loro relazioni bilaterali stavano “operando ad alto livello con nuovi e costanti progressi“.

L’Occidente e gli Stati Uniti in particolare non hanno fatto nulla per invertire questo scivolamento geopolitico: nel 2017 l’allora presidente statunitense Donald Trump ha inasprito la pressione di Washington su Cuba, imponendo nuove limitazioni ai viaggi e ai trasferimenti di denaro tra le due nazioni, aumentando nel contempo anche le sanzioni economiche. In quel modo il tycoon ha annullato lo storico riavvicinamento tra il governo dell’isola e gli Stati Uniti avvenuto nel corso del mandato di Barack Obama, riportando le lancette agli anni della Guerra Fredda, anche su pressione degli discendenti degli immigrati cubani in Florida, ferocemente anticomunisti. Il resto della comunità internazionale non ha fatto molto per evitare che ciò accadesse.

La missione di Blinken

I recenti sviluppi a Cuba si inseriscono in un contesto di relazioni tra Stati Uniti e Cina mai così difficili dagli anni Settanta. Tra i due Paesi si sono verificati diversi incidenti, dall’abbattimento di un pallone aerostatico di sorveglianza cinese da parte degli Stati Uniti a febbraio allo scontro sfiorato tra due aerei militari nel Mar cinese meridionale a maggio.

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La Cina vuole un esercito più tecnologico

Author: Wired

Le nuove regole pongono l’accento sul reclutamento di studenti universitari altamente qualificati. Secondo gli organi di informazione dell’esercito “la mossa è conforme alla richiesta di personale di alta qualità e all’accelerazione della meccanizzazione, informatizzazione e intelligentizzazione” delle forze armate. “Arruolare studenti universitari altamente istruiti aiuterà l’Esercito popolare di liberazione ad aumentare la qualità complessiva e a costruire una forza professionalizzata”, secondo i media di Stato cinesi, che descrivono la revisione delle leggi come una “mossa necessaria per garantire l’ammodernamento delle forze armate, dato che il paese mira a raggiungere la modernizzazione della difesa nazionale e delle forze armate entro il 2035”.

Caccia a studenti e tecnocrati

La legge consente alle università di gestire il compito di arruolare gli studenti. La legge emendata mira a introdurre studenti di scienze e ingegneria formati all’alta tecnologia, come l’intelligenza artificiale e la robotica. Satelliti spaziali, cibernetica e droni sono aree di particolare interesse. L’esercito cinese si sta anche concentrando sulla ricerca della “guerra d’intelligenza” che fa uso dell’intelligenza artificiale e di altre tecnologie. Settori in cui sembra aver acquisito una posizione di vantaggio.

La “caccia” a giovani talenti e a competenze tecnologiche si inserisce invece in un altro doppio processo in corso da tempo, ma sul quale Xi ha premuto l’acceleratore dal XX Congresso del Partito comunista dello scorso ottobre: il focus su ricerca e sviluppo, tradizionale punto debole dell’avanzamento tecnologico cinese, nonché lo spazio sempre maggiore concesso a tecnocrati e figure con competenze ingegneristiche o legate al settore aerospaziale.

Il nuovo input normativo risponde anche a un’altra esigenza: quella di ridurre la contrazione degli arruolamenti, causata negli ultimi anni dall’invecchiamento della popolazione cinese. Un trend che potrebbe aumentare nel prossimo futuro, visto che nel 2022 è stato registrato il primo storico calo demografico dopo 61 anni.

Non solo. Nei suoi discorsi politici, Xi ha più volte fatto riferimento ad “acque turbolente” e “sfide senza precedenti” che attendono Pechino. Da Taiwan al mar Cinese meridionale, passando per i confini contesi con l’India, il nuovo timoniere ha bisogno di forze armate non solo pronte, ma anche moderne e “intelligenti”.