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La Cina allenta la sua rete di riconoscimento facciale

Author: Wired

Sono passati due anni dal durissimo lockdown di Shanghai. È passato più di un anno da quando la Cina ha improvvisamente detto addio alle restrizioni anti Covid. Un apparato mastodontico, tra quarantene, controlli e tamponi obbligatori rapidamente archiviato. Quasi come non fosse mai esistito. Eppure, qualche prassi introdotta durante l’era pandemica è sin qui rimasta. Alcune stanno scomparendo proprio ora, mentre il governo cinese prova a stimolare non solo il turismo interno ma anche quello internazionale.

Basti guardare alle (per ora temporanee) politiche di free visa applicate a diversi Paesi europei, Italia compresa. Ecco allora che anche le strutture ricettive si stanno adeguando. Come ha scritto qualche giorno fa Caixin, media cinese specializzato in questioni finanziarie ed economiche, gli hotel di alcune metropoli del Paese hanno ricevuto dalle autorità locali l’ordine di smettere di scansionare i volti degli ospiti per il check-in. La misura sarebbe stata rimossa per alcune delle città principali e più visitate, vale a dire Pechino, Shanghai, Shenzhen e Hangzhou.

Addio al riconoscimento facciale negli hotel

La maggior parte degli hotel citati da Caixin ha dichiarato di aver ricevuto alla fine di marzo o all’inizio di aprile avvisi da parte dei dipartimenti di polizia locali che imponevano loro di consentire agli ospiti di effettuare il check-in senza utilizzare il riconoscimento facciale. Gli ospiti degli hotel possono ora completare la verifica dell’identità mostrando la carta d’identità, scansionando codici qr dedicati o compilando moduli online, mentre agli hotel che non hanno ancora rimosso le apparecchiature di riconoscimento facciale per il check-in è stato detto di inserire manualmente le informazioni personali degli ospiti nei loro sistemi.

Attenzione, perché la revoca del riconoscimento facciale negli hotel non è solo collegata alla rimozione di alcuni degli ultimi retaggi dell’era Covid. Alcuni alberghi avrebbero infatti ricevuto lo stesso ordine, ma su base meno “sistematica“, già durante il 2023 poco dopo la revoca della strategia zero Covid inizialmente voluta dal presidente Xi Jinping e contestata durante le proteste di fine novembre 2022.

La mossa si inserisce anche in un contesto nel quale il governo cinese sta intensificando la protezione dei dati personali, ponendo un freno all’espansione dell’utilizzo del riconoscimento facciale. Durante le recenti “due sessioni” legislative di marzo, alla Conferenza politica consultiva del popolo è stata recapitata una proposta per limitare l’uso del riconoscimento facciale nel settore turistico. E già lo scorso agosto, la potente Amministrazione cinese per il cyberspazio ha pubblicato una bozza di regole che consentiranno l’uso del riconoscimento facciale solo in presenza di uno scopo specifico e di una necessità sufficiente, con rigorose misure di protezione.

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6 cose da sapere sulle elezioni di Taiwan

Author: Wired

Questo clima da confronto imminente non sembra appassionare più di tanto l’elettorato taiwanese. In passato il voto era molto più centrato sul tema identitario e sui rapporti con Pechino. Era stato così nel 2016, sull’onda delle proteste del “Movimento dei girasoli” e 2020, quando in pochi mesi si erano ribaltati i sondaggi a favore del Dpp in seguito alla repressione dell’autonomia di Hong Kong, che secondo la prospettiva di Pechino dovrebbe essere lo stesso modello da applicare a Taiwan.

In cima agli interessi degli elettori ci sono questioni economiche e sociali. In primis i prezzi delle case, il salario minimo e l’occupazione, ma anche il sistema educativo e la sicurezza. Molto citato anche il tema energetico, con le riserve taiwanesi molto dipendenti dall’esterno, e le posizioni contrapposte sul nucleare, che vedono il Dpp contrario e i due partiti di opposizione a favore. Si è parlato anche di diritti, ma dopo la legalizzazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso nel 2019 non sono previsti altri passi avanti drastici su un tema sensibile come la pena di morte, che seppur non eseguita da diverso tempo resta ancora in vigore.

Il ruolo dei chip

Il voto è importante anche per le sue implicazioni economiche. Taiwan è la ventiduesima economia al mondo ed è la patria della fabbricazione e assemblaggio dei semiconduttori. Il colosso Tsmc possiede il 52,9% del mercato nel settore fabbricazione e assemblaggio. I primi due competitor sono la sudcoreana Samsung Electronics con il 17,3% e l’altra taiwanese Umc con il 7,2%. Stati Uniti e Cina sono solo al quarto e quinto posto con Globalfoundries (6,1%) e Smic (5,3%). Circa due miliardi e mezzo di persone utilizzano ogni giorno prodotti contenenti semiconduttori prodotti da Tsmc. Tutto il mondo se n’è accorto durante la crisi per la carenza dei microchip avviata durante la pandemia. Un dominio non solo quantitativo, ma anche qualitativo, visto che è l’unica azienda insieme alla sudcoreana Samsung a essere in grado di fabbricare microchip a 3 nanometri, i più avanzati in circolazione.

Gli spostamenti e le manovre di Tsmc sono un caso sempre più internazionale, ma vengono osservate con estrema attenzione anche a Taiwan, con effetti sul dibattito politico. In concomitanza delle notizie delle aperture degli stabilimenti all’estero, soprattutto negli Usa, l’opposizione del Kuomintang ha offerto una sponda al timore, già diffuso da più parti, che la globalizzazione dei chip possa mettere a rischio il futuro dell’economia di Taiwan.

Gli scenari post voto

Prima del silenzio elettorale in vigore dal 3 gennaio, tutti i sondaggi davano Lai come favorito con una forbice che, a seconda dei casi, passava da un minimo del 3% a un massimo del 10%. Non è una vittoria scontata. Con un’opposizione unita, la vittoria di Hou e Ko potrebbe essere garantita.

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Dopo internet, la Cina vuole controllare anche l’intelligenza artificiale

Author: Wired

Le nuove regole, che entreranno in vigore a partire dal 15 agosto, sono dislocate su 24 disposizioni. Tra queste c’è è l’obbligo per i fornitori di piattaforme di effettuare una revisione della sicurezza e di registrare i propri servizi presso i sistemi del governo. L’aderenza alle norme viene richiesta anche ai fornitori offshore di strumenti di intelligenza artificiale generativa, che in ogni caso non hanno sinora ricevuto il via libera dalle autorità cinesi. E difficilmente lo otterranno, se insegna qualcosa la storia della rete e dei social occidentali.

L’adesione ai valori socialisti

Nelle nuove linee guida non compaiono invece le disposizioni previste in bozza che prevedevano multe fino a 100 mila yuan (14 mila dollari) per le violazioni, nonché l’obbligo per gli operatori delle piattaforme di agire entro un periodo di grazia di tre mesi per correggere i contenuti problematici. Le nuove regole incoraggiano inoltre gli sviluppatori cinesi di chip, modelli e software di intelligenza artificiale a impegnarsi nella definizione di standard internazionali e negli scambi tecnologici. Altro segnale di quali siano le priorità strategiche individuate dal governo cinese, che ha di fatto chiesto ai suoi campioni privati di ri-orientare gli sforzi e gli investimenti nei settori più congeniali agli obiettivi politico-tecnologici del Partito.

Ci sono anche delle aggiunte, che confermano la tendenza a un maggiore accentramento decisionale, già evidente dalla riforma dell’apparato governativo e statale approvata durante le “due sessioni” legislative di marzo. Il testo indica infatti nella Commissione nazionale per lo sviluppo e la riforma e nel rinnovato ministero della Scienza e della tecnologia gli emittenti congiunti del regolamento. Le agenzie governative competenti avranno l’autorità di “supervisionare e ispezionare i servizi di intelligenza artificiale generativa in base alle loro responsabilità“, coi fornitori chiamati a cooperare e fornire spiegazioni riguardo alla fonte dei dati, alle regole di etichettatura e ai meccanismi degli algoritmi.

Insomma, niente briglia sciolta. Secondo le norme, i fornitori di servizi di intelligenza artificiale devono “aderire ai valori socialisti fondamentali” e non generare contenuti che “incitino alla sovversione del potere statale e al rovesciamento del sistema socialista, mettano in pericolo la sicurezza e gli interessi nazionali, danneggino l’immagine del paese, incitino alla secessione dal Paese, minino l’unità nazionale e la stabilità sociale, promuovano il terrorismo, l’estremismo, l’odio nazionale e la discriminazione etnica, la violenza, l’oscenità e la pornografia“.

La nuova campagna su internet

Regole che si sposano coi concetti espressi da Xi Jinping in un discorso pronunciato il 16 luglio durante un evento sulla cybersecurity che si è svolto a Pechino. Il presidente cinese ha dichiarato che il paese deve costruire una “solida” barriera di sicurezza intorno a Internet sotto la supervisione del Partito da lui diretto: “La Cina deve continuare a gestire, operare e garantire l’accesso a Internet in conformità con la legge. Dobbiamo aderire alla gestione di Internet da parte del Partito e al principio di far funzionare Internet per il popolo”. Contestualmente al suo discorso, il ministero della Pubblica Sicurezza ha avviato una campagna contro fake news e rumors online. L’obiettivo dichiarato è quello di informare meglio il pubblico sui danni della disinformazione.

D’altronde, la rete cinese ha maglie strette, pronte ad allargarsi e a richiudersi a seconda del momento. Lo stesso principio lo si vuole applicare all’intelligenza artificiale, settore in cui la Cina si è posta obiettivo di diventare leader mondiale entro il 2030. Già oggi, la Repubblica Popolare è il primo paese al mondo per numero di brevetti, spesso orientati sulle applicazioni pratiche delle nuove tecnologie. Già presente in diversi settori industriale e nel campo sanitario, l’intelligenza artificiale con caratteristiche cinesi sembra destinata ad avere sbocchi meno ludici ma più settoriali anche nella sua declinazione generativa. Sempre sotto lo sguardo attento di chi controlla il timone.

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Economia Tecnologia

La guerra dei chip tra Cina e Stati Uniti si fa più dura

Author: Wired

Tanto tuonò che alla fine piovve. A causa di venti in arrivo non solo da Ovest, come accaduto diverse volte negli scorsi anni, ma ora anche da Est. La chip war si intensifica e lo fa con una mossa improvvisa della Cina, che ha introdotto delle restrizioni alle esportazioni di gallio e germanio, due metalli critici per la produzione di semiconduttori ad alte performance, ma anche con applicazioni fondamentali nel settore delle telecomunicazioni e nella costruzione di veicoli elettrici. Non una mossa inaspettata. Nel corso del tempo, più volte si era previsto che Pechino potesse muoversi per limitare le spedizioni degli elementi su cui ha un vantaggio strategico, in risposta alle crescenti restrizioni introdotte dagli Stati Uniti per provare a impedire o limitare l’accesso del rivale asiatico alla tecnologia più avanzata in materia di microchip.

L’annuncio è arrivato lunedì 3 luglio, a poche ore di distanza da un altro annuncio, quello della visita della segretaria al Tesoro statunitense Janet Yellen, a Pechino dal 6 al 9 luglio. Un “regalo di benvenuto” non esattamente gradito per Washington. “In conformità con le disposizioni pertinenti della Legge sul controllo delle esportazioni della Repubblica popolare cinese, Legge sul commercio estero della Repubblica popolare cinese e Legge doganale della Repubblica popolare cinese, al fine di salvaguardare la sicurezza nazionale e interessi nazionali, con l’approvazione del Consiglio di Stato, si decide di attuare controlli sulle esportazioni di articoli legati al gallio e al germanio”, si legge nel comunicato del ministero del Commercio che fa dunque menzione esplicita di quanto siano strategici i due metalli nel contesto della sicurezza nazionale agognata dal presidente cinese Xi Jinping anche in materia di chip, su cui ha più volte chiesto di perseguire l’autosufficienza tecnologica.

Bandiera di SamsungI chip riavvicinano Corea del Sud e Giappone

Il disgelo tra Tokyo e Seul porta Samsung, il principale colosso di microchip sudcoreano, ad aprire un impianto di sviluppo a Yokohama. Una mossa dall’alto valore strategico, che può cambiare gli equilibri nella contesa tecnologica a livello regionale e non solo

Perché la Cina blocca gallio e germanio

Che cosa cambia con la mossa del governo cinese? Il gallio e il germanio, insieme ai loro composti chimici, saranno soggetti a controlli sulle esportazioni per proteggere la sicurezza nazionale cinese a partire dal primo agosto. Gli esportatori dei due metalli dovranno richiedere licenze al ministero del Commercio se vorranno iniziare o continuare a spedirli fuori dal Paese e dovranno comunicare i dettagli degli acquirenti esteri e delle loro richieste.

Pechino è il produttore globale dominante di entrambi i metalli. Secondo il Critical Mineral Intelligence Centre del Regno Unito, la Cina rappresenta circa il 94% della produzione mondiale di gallio. Un dominio sfruttato, sul gallio, nello sviluppo delle infrastrutture di rete 5G. Così come il germanio, il gallio ha un ruolo nella produzione di una serie di semiconduttori composti, che combinano più elementi per migliorare la velocità e l’efficienza della trasmissione. Sebbene questi metalli siano rintracciabili anche altrove (per esempio in Corea del Sud, Giappone, Russia e Ucraina) la Cina ha fondato una sorta di dominio perché ha sin qui rifornito il mondo in modo altamente vantaggioso prezzo, avendo mantenuto bassi i costi estrattivi e di lavorazione. Entrambi i metalli sono infatti sottoprodotti della lavorazione di altre materie prime come il carbone e la bauxite, la base per la produzione di alluminio.

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Tecnologia

La base cinese a Cuba che preoccupa gli Stati Uniti

Author: Wired

Quattro fonti ufficiali, benché anonime, del governo statunitense hanno detto a Cnn e Wall Street Journal che Cuba e Cina hanno stretto un accordo per consentire a Pechino di costruire una base di addestramento militare. Secondo i funzionari responsabili della soffiata, la nuova struttura potrebbe ospitare in un prossimo futuro truppe cinesi “permanenti” sull’isola e favorire lo spionaggio contro gli Stati Uniti. La base a Cuba si troverebbe a soli 60 chilometri dalla costa della Florida.

Scontata la smentita dell’Avana e Pechino, i portavoce del Pentagono e del Consiglio di sicurezza nazionale hanno definito la notizia “non accurata”, che non è proprio come negare. Secondo il sito Politico, i negoziati tra Cina e Cuba sulla struttura sono ancora in corso, anche se la Casa Bianca avrebbe già protestato segretamente con i governi cinese e cubano.

Le quattro fonti anonime sostengono la mossa della Cina sia una risposta al coinvolgimento dell’esercito statunitense a Taiwan. Taiwan dista circa 100 miglia dalla Cina, una distanza simile a quella tra la Florida e Cuba. Lo scoop sulla potenziale struttura militare arriva due settimane dopo che, l’8 giugno, il Wall Street Journal ha riferito che la Cina avrebbe raggiunto un accordo di massima con L’Avana per la creazione di una base dedicata alla sola raccolta di informazioni. Un funzionario dell’amministrazione Biden, parlando in forma anonima con l’Associated Press, ha confermato la notizia aggiungendo che la Cina sta usando Cuba per spiare gli Stati Uniti dal 2019.

Cuba “regalata” alla Cina

In questi ultimi anni, la Cina ha lavorato alacremente per coltivare i suoi legami con Cuba. Il presidente cubano Miguel Díaz-Canel Bermúdez ha visitato ufficialmente la Cina nel novembre 2022. Quando è stato rieletto ad aprile, ha ricevuto un messaggio di congratulazioni dal leader cinese Xi Jinping, che affermava che le loro relazioni bilaterali stavano “operando ad alto livello con nuovi e costanti progressi“.

L’Occidente e gli Stati Uniti in particolare non hanno fatto nulla per invertire questo scivolamento geopolitico: nel 2017 l’allora presidente statunitense Donald Trump ha inasprito la pressione di Washington su Cuba, imponendo nuove limitazioni ai viaggi e ai trasferimenti di denaro tra le due nazioni, aumentando nel contempo anche le sanzioni economiche. In quel modo il tycoon ha annullato lo storico riavvicinamento tra il governo dell’isola e gli Stati Uniti avvenuto nel corso del mandato di Barack Obama, riportando le lancette agli anni della Guerra Fredda, anche su pressione degli discendenti degli immigrati cubani in Florida, ferocemente anticomunisti. Il resto della comunità internazionale non ha fatto molto per evitare che ciò accadesse.

La missione di Blinken

I recenti sviluppi a Cuba si inseriscono in un contesto di relazioni tra Stati Uniti e Cina mai così difficili dagli anni Settanta. Tra i due Paesi si sono verificati diversi incidenti, dall’abbattimento di un pallone aerostatico di sorveglianza cinese da parte degli Stati Uniti a febbraio allo scontro sfiorato tra due aerei militari nel Mar cinese meridionale a maggio.