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Gli Stati Uniti invieranno all’Ucraina munizioni all’uranio impoverito

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Mentre Kyiv annuncia lo sfondamento delle prime linee nemiche, da Washington arriva la notizia che nel prossimo pacchetto di aiuti degli Stati Uniti all’Ucraina – che ha un valore compreso tra i 240 e i 375 milioni di dollari – ci saranno per la prima volta anche le controverse munizioni perforanti all’uranio impoverito. A scriverlo per prima è stata la Reuters. L’agenzia ha aggiunto che le munizioni all’uranio impoverito dovrebbero essere consegnate a Kyiv la prossima settimana, forse insieme agli annunciati carri armati Abrams, capaci di sparare proprio munizioni all’uranio.

Munizioni potenzialmente cancerogene

A rendere “controverso” questo tipo di munizioni è il possibile effetto cancerogeno che potrebbero avere su chi ne viene a contatto anche a distanza di tempo dalla loro esplosione. Sulla pagina delle Nazioni unite dedicata al tema è spiegato che l’uranio impoverito è “un metallo pesante tossico” che può essere impiegato per creare munizioni in grado di “penetrare le piastre corazzate” o, viceversa, per “rinforzare i veicoli militari”.

Sempre le Nazioni unite, di concerto con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), scrivono che l’uranio impoverito può essere pericoloso per chi con esso entra in diretto contatto. Il danno consisterebbe nella contaminazione da radiazioni. Non vi sarebbero, invece, particolari rischi per la salute nel caso di un’eventuale dispersione nell’aria di questa sostanza.

Non una novità sul campo di battaglia

La notizia, che ancora non è stata commentata da Mosca, è sorprendente per chi partecipa al dibattito, ma non lo è affatto per il campo di battaglia. Nel marzo scorso, infatti, già la Gran Bretagna aveva inviato all’Ucraina le munizioni anticarro all’uranio impoverito. Le autorità di Mosca reagirono duramente agitando, ancora una volta, lo spettro dell’apocalisse nucleare come unico modo per fermare un’escalation voluta dalle potenze occidentali.

Il Wall Street Journal già a giugno che Washington avrebbe inviato munizioni perforanti all’uranio impoverito. Una scelta che, forse, riaccenderà dubbi e critiche, soprattutto perché arriva a pochi mesi dalla spedizione delle altrettanto controverse bombe a grappolo all’esercito ucraino. A oggi, Stati Uniti, Russia e Ucraina (insieme ad altri paesi) non hanno firmato la Convenzione di Oslo sulla messa al bando delle cluster bombs del 2008.

Un problema di lungo periodo

Munizioni perforanti all’uranio impoverito e bombe a grappolo creano un problema di lungo periodo per il territorio ucraino, già pesantemente minato dalle forze russe. Il rischio maggiore è che, anche a molti anni di distanza dalla fine della guerra, senza la tempestiva bonifica dei territori questi armamenti possano continuare a fare male soprattutto ai civili.

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Chi è Gabriel Guevara, l’attore che è stato arrestato a Venezia

Author: Wired

Si trovava a Venezia per ritirare un premio al Filming Italy Best Movie International Award, ma secondo quanto riportato dalla testata Europa Press, sarebbe stato arrestato: Gabriel Guevara, attore spagnolo di 22 anni, sarebbe infatti destinatario di un mandato di arresto internazionale emesso dalla Francia per violenza sessuale, reato commesso in territorio francese quando era ancora minorenne. L’arresto è avvenuto sabato 2 settembre mentre Guevara, che avrebbe dovuto ritirare domenica sera il Filming Italy Best Movie International Award Young Generation, si trovava già nel capoluogo veneto. Il 22enne spagnolo è diventato famoso soprattutto per il suo ruolo nel film Culpa mia, uscito nel 2023, e nella serie tv adolescenziale Skam España, uscita tra il 2018 e il 2019.

La notizia dell’arresto ha iniziato a diffondersi dopo che i fan hanno notato l’assenza dell’attore alla premiazione. La commissione ha deciso di sospendere l’assegnazione del premio fino a nuovi sviluppi sulla vicenda. La Biennale, con una nota, ha preso le distanze dall’accaduto, sottolineando che l’attore non era stato invitato all’80esima Mostra internazionale d’Arte cinematografica in corso in questi giorni a Venezia. L’avvocato di Guevara, Pedro Fernández González, ha rilasciato un comunicato in cui parla di “detenzione irregolare” del 22enne e si è detto speranzoso del fatto che venga rilasciato una volta comprovato l’errore.

Nel comunicato, il legale dell’attore ha specificato che il fermo è avvenuto in seguito a un processo che aveva avuto inizio molti anni fa, quando l’attore era ancora minorenne, e che si è concluso in favore di Guevara. Anche la madre, l’attrice Marléne Mourreau, ha riferito ai microfoni di Telecinco che l’arresto del figlio è una bugia, anche se ha ammesso di non averlo sentito per telefono, e che il figlio non è mai tornato in Francia da quando aveva 12 anni nel 2015. Intanto, si attende che il tribunale riesamini il caso prima che l’attore venga estradato.

Chi è Gabriel Guevara

Gabriel Guevara, nato il 6 febbraio 2001 a Madrid, ha interpretato il ruolo di Cristian Miralles Haro nella serie tv adolescenziale Skam España, che lo ha portato a raggiungere la notorietà negli anni 2018 e 2019. I suoi genitori sono l’attrice e conduttrice televisiva spagnola Marléne Mourreau e il ballerino cubano Michel Guevara. Nella sua carriera, il giovane ha recitato come protagonista del film Culpa Mia, uscito nel 2023 e presentato in anteprima su Amazon Prime Video, dove il pubblico lo ha visto nei panni di Nick Leister. Il film è ispirato alle vicende raccontate nei romanzi di Mercedes Ron. Nel 2020, quando aveva 19 anni, l’attore ha recitato nel film Charter, mentre nel 2022 ha partecipato alle riprese del film Mañana es hoy, anch’esso uscito su Amazon Prime Video. L’attore deve la sua notorietà anche alle serie tv: oltre a Skam España, Guevara infatti ha recitato in Señoras del (h)AMPA, in onda su Telecinco, mentre ha vestito i panni di Dario in Hit. In seguito, ha preso parte alla serie tv di Netflix, Tu no eres especial, uscita nel 2022.

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A ottobre partirà un trimestre anti inflazione con prezzi calmierati

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Accelerare il processo di rientro dell’inflazione, peraltro già in corso negli ultimi mesi, luglio compreso. È questo l’obiettivo del protocollo d’intesa firmato il 4 agosto dal ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e dai rappresentanti delle associazioni della distribuzione moderna e del commercio tradizionale, che darà vita dall’1 ottobre a un trimestre anti inflazione sul carrello della spesa.

In particolare, come evidenzia una nota pubblicata sul sito del Mimit, l’accordo prevedrà prezzi calmierati non soltanto su beni primari alimentari, ma anche su una selezione di altri articoli che usualmente rientrano nel carrello della spesa dei cittadini, come per esempio i prodotti per l’infanzia. Tutto questo sarà possibile attraverso diverse modalità, che spazieranno dall’applicazione di prezzi fissi ad attività promozionali su determinati prodotti, passando per “iniziative – si legge – sulla gamma di prodotti a marchio come carrelli a prezzo scontato o unico”. Più sicurezze si avranno però entro il 10 settembre, data ultima individuata dal Mimit per definire tutti i dettagli con le associazioni che hanno sottoscritto l’accordo.

Le dichiarazioni del ministro

Con il paniere calmierato – afferma Ursosiamo convinti di poter dare un definitivo colpo all’inflazione, riconducendola a livelli naturali. Secondo i dati Ocse, l’inflazione in Italia nell’ultimo mese scende dal 7,6% al 6,4%, con un calo di 1,2 punti percentuali, maggiore a quello registrato nell’area Ocse dove l’indice dei prezzi al consumo si è ridotto in media dello 0,8%

Per il ministro, il trend si èconsolidato proprio grazie all’effetto del costante monitoraggio dei prezzi effettuato dal Mimit, con i nuovi poteri conferiti dal decreto trasparenza di gennaio, e anche all’impegno già in atto della filiera della distribuzione e del commercio, che in questi mesi ha svolto un ruolo importante nel contenimento dei prezzi e nella tutela del potere di acquisto delle famiglie. Un contributo centrale in questo processo lo svolgono anche le associazioni dei consumatori, con cui condividiamo un percorso virtuoso nell’affrontare questa sfida”.

Nella stessa nota, il Mimit ha fatto sapere che costituirà un tavolo permanente, magari anche coinvolgendo altri dicasteri, “per affrontare – si legge – tematiche specifiche del settore della distribuzione moderna e del commercio tradizionale e lavorando per superare gli ostacoli che impediscono una maggiore efficienza nelle attività d’impresa”. La prima riunione del tavolo è prevista a settembre.

Insieme al ministro Urso, hanno firmato l’accordo i rappresentanti di Federdistribuzione, Associazione Nazionale Cooperative dei Consumatori Coop, Associazione Nazionale Cooperative fra i Dettaglianti, Confcommercio – Imprese per l’Italia, Federazione Italiana Esercenti settore Alimentare – Fiesa Confesercenti, Federfarma – Federazione nazionale unitaria dei titolari di farmacia italiana, A.s.so.Farm. Federazione Aziende e Servizi Socio Farmaceutici, Federazione Farmacisti e Disabilità Onlus, Movimento Nazionale Liberi Farmacisti (Mnlf) – Confederazione Unitaria delle Libere Parafarmacie Italiane (Culpi), Federazione Nazionale Parafarmacie Italiane, Unione Nazionale Farmacisti Titolari di Sola Parafarmacia (UNaFtisp).

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C’è un nuovo codice di condotta per i call center molesti

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Contrastare il telemarketing illegale e aggressivo e favorire l’adesione dei consumatori unicamente a contratti rispettosi della normativa vigente. Sono questi i due obiettivi principali con i quali l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha approvato nella seduta dello scorso 26 luglio il nuovo codice di condotta sul call center.

In una nota pubblicata sul proprio sito, l’Agcom sottolinea quali principi abbiano ispirato le misure definite, che dovranno essere recepite nei contratti tra gli operatori di comunicazioni elettroniche e i partner commerciali che svolgono attività di call center. L’autorità cita per esempio la trasparenza dei contratti conclusi telefonicamente con gli utenti finali, l’utilizzo corretto delle liste telefoniche e l’obbligo di iscrizione al Registro degli operatori di comunicazione (Roc) dei call center.

Sono però in particolare due i paletti che potrebbero mettere al muro i teleseller: l’obbligo di richiamabilità dei call center da parte del cliente e, soprattutto, il divieto di modificare il caller line identification della linea da cui origina la chiamata al cliente. In questo senso, l’Agcom “rileva – si legge nella nota – un impianto normativo insufficiente ad assicurare un efficace contrasto al fenomeno del teleselling illegale; mancano, per esempio, norme che obblighino i call center ad adottare una numerazione riconoscibile, indicata dall’Autorità, e consentano di contrastare il cosiddetto spoofing del numero telefonico, oggi agevolato dalle nuove tecnologie, con una portata non solo nazionale”.

L’adesione al codice di condotta da parte di operatori e call center è su base volontaria. In via indiretta, attraverso contratti che dovranno recepire le misure previste, il codice avrà comunque effetti sull’attività dei call center che sottoscriveranno i contratti stessi.

Tra le misure previste dall’Agcom spiccano i requisiti minimi di qualità e l’affidabilità professionale richiesti ai call center, il monitoraggio sull’attività di questi ultimi da parte degli operatori di comunicazioni loro partner e l’obbligo di garantire agli utenti contattati la possibilità di compiere scelte consapevoli.

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La storia di Patrick Zaki

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Per 27 ore nessuno ha più avuto sue notizie. Quattro anni prima una cosa simile era successa a un altro universitario, un ricercatore italiano, Giulio Regeni. Solo che Regeni scomparve per un mese, poi a essere trovato fu solo il suo corpo senza vita segnato dalle torture. Per Zaki molti hanno temuto la stessa sorte. Ha subito le torture, con l’elettricità, e il carcere.

Il suo impegno da attivista

L’accanimento del regime di Abdel Fattah al-Sisi contro il giovane è dipeso dal suo impegno civile. Studente interessato ai diritti umani, attivista nell’associazione umanitaria Egyptian initiative for personal rights e animatore della campagna elettorale per Khaled Ali, avvocato e attivista che voleva sfidare al-Sisi alle elezioni presidenziali del 2018, poi costretto a ritirarsi per le molte minacce e gli arresti che hanno subito i sui collaboratori. Un membro dell’opposizione, una persona scomoda, ancora di più per i suoi legami con l’Italia.

Zaki è arrivato per la prima volta nel nostro paese nel 2019, per seguire un corso magistrale in Women’s gender studies all’università di Bologna (Unibo). Un percorso interrotto dall’arresto ma coronato ottenendo il massimo dei voti alla laurea, dopo la discussione della sua tesi online dall’Egitto solo lo scorso 5 luglio. E l’Unibo è stata l’istituzione italiana che più si è stretta attorno al giovane, che più ha spinto per la sua liberazione, dandogli la forza di resistere e continuare a lottare.

Il lungo processo

In totale, dal primo arresto a oggi, sono passate 18 udienze e nove slittamenti usati per prolungare la custodia cautelare, durata 22 mesi. Poi poco tempo in libertà prima della condanna definitiva a 3 anni di carcere e, infine, la grazia. Nel mentre, per lui sono proliferate le petizioni online per chiedere di concedergli la cittadinanza italiana, Amnesty International Italia non ha mai smesso di chiedere giustizia e al suo fianco si sono schierati anche i partiti politici come il Movimento 5 stelle e il Partito democratico.

Ma l’appoggio istituzionale, a parte quello incrollabile dell’Unibo, non è sempre stato scontato. Il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione per esortare gli stati membri a imporre sanzioni contro l’Egitto per i casi di Zaki e Regeni, finita in un nulla di fatto e disertata dai rappresentanti della destra. Stesso discorso durante il governo Draghi, quando la mozione per la cittadinanza è stata approvata da Camera e Senato e poi lasciata nel dimenticatoio.

Ora, ciò che si teme, è che la grazia concessa da Al-Sisi, possa essere una sponda al governo Meloni per far cadere le indagini sul rapimento, sulle torture e sull’omicidio di Giulio Regeni. Caso in cui l’Egitto non solo si rifiuta di collaborare, ma si è attivamente impegnato nella diffusione di materiali propagandistico per infangare la sua memoria. Ipotesi non così irreale, vista la poca attenzione data al caso Zaki da Meloni, mentre era all’opposizione, il suo silenzio sul caso Regeni alla Cop27 e il rifiuto di testimoniare durante l’ultima udienza del caso Regeni dato da Meloni al Gip lo scorso 9 marzo, come riporta Repubblica.