Categorie
Tecnologia

La popolazione della Cina continua a calare

Author: Wired

La popolazione della Cina è diminuita per il secondo anno di fila. La crescita continua dei passati 60 anni era già stata interrotta nel 2022, quando il conteggio demografico aveva registrato un calo di 850 mila unità. Nel 2023 questo numero è andato ad aumentare ulteriormente, raggiungendo i 2,08 milioni di persone in meno. I dati dell’Istituto nazionale di statistica cinese, equivalente del nostro Istat, riguardano solo chi ha la cittadinanza cinese e la Cina continentale, quindi senza Hong Kong e Macao.

L’India resta saldamente al comando come paese con il maggior numero di abitanti, mentre la Cina cala sempre più velocemente. Le nuove nascite sono scese del 5,7% e il tasso di natalità ha raggiunto il minimo storico di 6,39 nascite ogni mille persone, pari a 9,2 milioni, più basso anche rispetto al 2022. Al contrario, i decessi totali sono aumentati del 6,6%, arrivando a 11,1 milioni, raggiungendo così il livello più alto dal 1974, durante la Rivoluzione culturale di Mao Tse Dong.

Ad aver fatto indietreggiare il gigante asiatico si trovano le stesse politiche di Pechino, che dal 1979 al 2016 hanno imposto la rigida norma del figlio unico a tutte le famiglie, sanzionando con multe o addirittura con il licenziamento chiunque fosse scoperto a violarla e provare ad avere più di un figlio o una figlia. Allo stesso tempo però, l’elevato numero di morti registrato negli ultimi anni è dipeso anche dagli effetti della pandemia da Covid-19.

Il governo di Xi Jinping ha tentato in vari modi di invertire questa tendenza, incoraggiando le famiglie ad avere anche un secondo o un terzo figlio tramite agevolazioni fiscali e campagne propagandistiche per promuovere una cultura del matrimonio e della maternità, come riporta il New York Times, cercando anche di sostenere che le donne debbano tornare a ricoprire ruoli più tradizionali. Tuttavia, nei passati sette anni le nascite sono continuate a calare e la maggior parte delle coppie cinesi non sembra intenzionata ad avere più di un figlio o a tornare ai tradizionali ruoli di genere.

Come nei paesi più ricchi al mondo, la popolazione cinese sta cominciando a invecchiare, nonostante il Pil pro capite della Cina sia piuttosto basso e il paese sia considerato ancora in via di sviluppo. I dati indicano una crescita delle persone con più di 60 anni, 21,1% nel 2023 rispetto al 19,8% del 2022, e il paese dovrà nei prossimi anni fronteggiare i tipici problemi collegati all’invecchiamento di una società, come la carenza della forza lavoro, il peso delle pensioni e così via, senza però essere riuscita a raggiungere i livelli di welfare e benessere tipici dei paesi in condizioni simili.

Categorie
Tecnologia

Un libro ci spiega come riappropriarci davvero del nostro tempo

Author: Wired

Il tempo fungibile è uniforme, standardizzato e intercambiabile. È quello che usiamo per organizzare le nostre attività. È l’ordine temporale in cui viviamo tutti. Quando si vive in una società che parla la lingua del tempo fungibile, è molto difficile cercare di pensare che il tempo non lo sia davvero.

Ma quando si analizza la storia del tempo, ci si rende conto della sua specificità culturale. È la storia del colonialismo e dell’industrialismo. In Accounting for Slavery, Caitlin Rosenthal parla dei fogli di calcolo utilizzati nelle piantagioni, i libri contabili. Uno dei primi esempi concreti dell’applicazione del concetto di ora dell’uomo, intesa a tutti gli effetti come ora di lavoro.

Cos’è, invece, il tempo non fungibile?

Sperimento il tempo non fungibile – che, in realtà, è tutto il tempo che ho – ogni volta che sono consapevole di come un momento sia diverso dall’altro. Questo è il modo in cui il tempo funziona nel corpo. L’esperienza della malattia o della ferita, e poi della guarigione, è un buon esempio che mi è tornato alla mente quando di recente ho avuto il Covid. Ma lo è anche guardare i figli dei miei amici che imparano a parlare. Penso che chiunque faccia giardinaggio conosca molto bene il tempo non fungibile. Esiste un senso del tempo, come quando si ha la necessità di fare le cose in momenti precisi, ma non si possono forzare le cose in modo standardizzato. Bisogna stare attenti a ciò che le piante fanno in un determinato giorno.

Come siamo arrivati all’attuale ossessione per la produttività e l’auto-ottimizzazione?

Innanzitutto, vorrei dire che una persona la cui produttività viene misurata sul lavoro o un qualunque lavoratore autonomo possono sembrare ossessionati dalla questione, ma è perché ne hanno bisogno. Da una parte questo è dovuto alla coercizione o al modo in cui è concepito il luogo di lavoro, dall’altra è legato al desiderio di rimanere a galla o di guadagnarsi da vivere in modo migliore. Quindi è complicato.

Direi che la nostra fissazione generale per la produttività ha radici nell’etica del lavoro protestante, dove vigeva l’equazione morale “non sei una brava persona se non sei sempre occupato”. E non dovresti nemmeno spendere i soldi che guadagni. Negli Stati Uniti, all’inizio del ventesimo secolo, c’è stata una vera e propria ossessione per l’applicazione del Taylorismo – un metodo scientifico per aumentare la produttività – anche all’esterno della fabbrica. Persino al corpo umano, una cosa che ha finito con l’intrecciarsi con l’eugenetica. Ovunque c’era l’ossessione di dover perfezionare una macchina secondo determinati standard. E questa idea è ancora molto radicata in noi.

Categorie
Tecnologia

L’anno in cui i lavoratori si sono rivoltati contro l’intelligenza artificiale

Author: Wired

Questo, a sua volta, ha portato a un maggiore interesse per le tutele che il lavoro organizzato può offrire ai lavoratori, anche se alcuni sindacati sembrano essere rimasti indietro. In un recente articolo pubblicato sull’Harvard Business Review, il professore di ingegneria del Mit Yossi Sheffi ha scritto che la miopia su questi temi si ripercuote sia sui lavoratori che sui datori di lavoro e che anche altre industrie avrebbero dovuto “prendere a cuore” ciò che stava accadendo a Hollywood.

Con l’avanzare dell’AI nel 2023, è diventato chiaro che i sindacati sono solo una parte della resistenza. Gli autori, preoccupati che grandi modelli linguistici fossero stati addestrati utilizzando i loro libri, hanno intentato una serie di cause contro OpenAI, Meta, Microsoft e altre aziende. Lo stesso hanno fatto gli artisti nel campo delle arti visive, mettendo nel mirino sistemi come Stable Diffusion, Midjourney, DeviantArt e altri ancora. Nessuna di queste cause è arrivata a una conclusione, e c’è chi sostiene che le rivendicazioni sul copyright non siano il modo giusto per impedire ai bot di rubare i lavori creativi. Ad ogni modo però, queste cause hanno trasformato i tribunali in un altro campo di battaglia in cui gli umani si sono opposti all’incursione dell’AI.

Gli scenari futuri

Verso la fine dell’anno, anche i governi sono entrati in gioco. All’inizio di novembre, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato un ordine esecutivo che tenta, tra l’altro, di limitare l’impatto dell’AI sul lavoro. I sindacati americani, tra cui la Sag, hanno elogiato la mossa, che è arrivata nel momento in cui leader mondiali stavano arrivando nel Regno Unito per un vertice sulla sicurezza dell’AI, dove hanno cercato di contenere le minacce dell’apprendimento automatico e di sfruttarne allo stesso tempo le potenzialità.

Questa è sempre stata la parte difficile. Dai tessitori agli scrittori, molte persone usano le macchine per migliorare il loro lavoro. Come vi diranno i sostenitori dell’AI, l’automazione è utile, e la tecnologia può coltivare nuove forme di creatività. Le persone possono scrivere libri con l’intelligenza artificiale, creare nuovi stili, o anche costruire generatori di Seinfeld. Alcuni sceneggiatori di Hollywood usano gli strumenti AI per fare brainstorming. L’ansia nasce quando il capo di una casa di produzione chiede a ChatGPT di scrivere un nuovo film su un gatto e un poliziotto che sono migliori amici. A quel punto non c’è più bisogno di autori.

Al momento, i chatbot non sono in grado di scrivere sceneggiature, comporre romanzi o dipingere come Caravaggio. Ma la tecnologia si sta evolvendo così rapidamente che questo scenario sembra ormai imminente. Quando Sam Altman è stato licenziato per qualche giorno da OpenAI a novembre, sono circolate ipotesi sulla possibilità che l’azienda stesse sviluppando la sua tecnologia troppo velocemente, e che le sue ambizioni commerciali avessero sopraffatto la missione altruistica.

Con il ritorno di Altman nel ruolo di amministratore delegato, Microsoft ha ottenuto un posto nel cda della società. Curiosamente, il colosso aveva offerto posti di lavoro ai dipendenti di OpenAI durante la crisi dell’azienda, e lo stesso ha fatto Salesforce. Questo è servito a ricordare che l’AI è sì pronta a eliminare molti posti di lavoro, ma crea anche posti di lavoro nel settore. In futuro, la probabilità che l’intelligenza artificiale soppianti molti lavori di base e ne crei alcuni altamente qualificati sembra elevata. La domanda principale in questo momento è se queste macchine stanno imparando dagli esseri umani le loro abilità o i loro pregiudizi.

Questo articolo è comparso originariamente su Wired US.

Categorie
Economia Tecnologia

Come richiedere l’assegno di inclusione, che sostituisce il reddito di cittadinanza

Author: Wired

Sono potenzialmente 737mila le famiglie che sotto l’albero di Natale troveranno l’assegno d’inclusione (Adi), la misura introdotta dal governo Meloni per sostituire definitivamente il reddito di cittadinanza. In particolare, come spiega Il Sole 24 Ore, dalla mezzanotte del 18 dicembre per i nuclei che includono almeno una persona disabile, un minore o un over 60 e il cui reddito non superi una determinata soglia è possibile presentare la domanda utile a ricevere il sostegno.

Come ha avuto modo di chiarire l’Inps, il beneficio sarà effettivo dal mese successivo alla sottoscrizione del patto di attivazione digitale (Pad). Farà eccezione gennaio, però: le richieste complete di Pad presentate entro il primo mese del 2024 porteranno infatti al ricevimento immediato dell’Adi. Proprio per velocizzare i tempi, in seguito al decreto attuativo registrato dalla Corte dei conti il ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha aperto in anticipo le procedure per richiedere il sussidio, che correranno su più fronti, ovvero il sito dell’Inps, i patronati e, da gennaio, i Caf.

Con la nuova misura farà il suo debutto anche la carta di inclusione, una ricaricabile emessa da Poste Italiane sulla quale sarà erogato il contributo, differentemente da quanto accade con il supporto formazione e lavoro (Sfl) partito a settembre, che prevede l’accredito diretto via bonifico. L’Adi sarà riconosciuto ai beneficiari per 18 mesi e potrà essere rinnovato successivamente, dopo un mese di pausa, per un altro anno.

L’importo massimo annuo dell’Adi raggiungerà quota 6000 euro. La misura sarà però incrementabile a seconda di alcuni parametri, come per esempio la composizione del nucleo familiare e le necessità abitative. Lo stesso varrà per il requisito dell’Isee, che generalmente non dovrà essere superiore ai 9.360 euro, ma che potrà essere più alto nei casi di nuclei familiari che presentano membri minorenni.

Per i beneficiari saranno inoltre previsti alcuni obblighi. Essi, sottoscrivendo il Pad, si impegneranno infatti ad aderire a un percorso personalizzato di inclusione sociale o lavorativa e dovranno presentarsi per il primo appuntamento presso i servizi sociali entro 120 giorni dall’avvio della misura e, successivamente, ogni 90 giorni per aggiornare la propria posizione, pena la sospensione del contributo.

Non saranno tenuti a seguire questo percorso gli over 60, le persone con disabilità, i genitori con figli di età uguale o inferiore ai tre anni o di tre o più minori, nonché le donne vittime di violenza di genere inserite nei percorsi di protezione. Per queste ultime l’indennità sarà comunque riconosciuta, considerato che saranno ritenute indipendenti dal nucleo in cui le violenze stesse sono state perpetrate.

Categorie
Economia Tecnologia

L’intelligenza artificiale rivoluzionerà 8 professioni su 10

Author: Wired

Non solo informatica e tecnologia. Anche nel campo della cura e dei servizi legati alle persone, inclusi orientamento, formazione e inserimento socio-lavorativo, da qui al 2030 la domanda di lavoro riguarderà sempre più professioni tecniche e di alta qualifica. Di contro, la domanda calerà per i gruppi professionali a qualifica più bassa e nei settori a bassa crescita, ovvero il primario e le industrie tradizionali.

Sono questi i principali dati emersi dall’ultimo studio realizzato da Ernst & Young in collaborazione con ManpowerGroup e Sanoma Italia e intitolato Il futuro delle competenze nell’era dell’intelligenza artificiale, che ha comunque delineato un quadro il cui per tutto il decennio la domanda di lavoro in Italia resterà in crescita.

Secondo lo studio predittivo, elaborato utilizzando tecniche di intelligenza artificiale e algoritmi di machine learning, la tecnologia non sostituirà il lavoro umano. La domanda di lavoro in Italia continuerà infatti a crescere, con una curva che si inizierà ad abbassare gradualmente dal 2024 e in maniera più accentuata dal 2027, quando nelle aziende saranno adottate in maniera diffusa soluzioni di IA generativa e di robotica avanzata. In particolare, a soffrire l’avvento di tali innovazioni saranno i profili professionali a livello di qualifica media: tecnici, conduttori d’impianti, lavoratori della logistica, chi svolge mansioni d’ufficio che hanno a che fare con la gestione dei dati.

Per quanto riguarda i settori, non tutti reagiranno nella medesima maniera alle evoluzioni dell’intelligenza artificiale. Sui 23 considerati dalla ricerca, in nove considerati “tecnologicamente maturi” la domanda di lavoro aumenterà. Per altri che hanno già intrapreso un importante percorso di digitalizzazione, come banche e assicurazioni, essa è invece destinata a diminuire. I risultati della ricerca sono eterogenei anche per quanto riguarda le singole professioni.

Ad aumentare saranno poi i cosiddetti green jobs. Le aziende dovranno infatti affrontare le sfide richieste dalla sostenibilità e dagli obiettivi Esg, ambito riguardo al quale il 94% delle organizzazioni globali ammette di non avere in organico professionisti adeguati, motivo per cui il 70% di esse si sta già muovendo per assumere tecnici e manager.

Di fatto, lo studio dimostra che, per evitare squilibri troppo ampi sul mercato del lavoro, già da adesso imprese, sistema dell’istruzione e della formazione e decisori pubblici sono chiamati a intervenire su tre quarti delle professioni: per le occupazioni con domanda in calo si dovrà gestire l’eccesso di forza lavoro, che dovrà essere assorbito in altri ruoli; per quelle in crescita, serviranno invece percorsi di formazione di competenze e qualifiche.

Lo studio dimostra infine che il disallineamento tra le competenze dei neolaureati italiani e i lavori di primo impiego crescerà in maniera significativa da qui al 2030, soprattutto in uscita dai percorsi stem. I percorsi di studio universitario non sono infatti al passo con i cambiamenti del mercato del lavoro. In questo senso, sarà importante anche valutare il ruolo delle università nell’evoluzione del sistema paese.