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Economia Tecnologia

La guerra del futuro sarà sempre più distruttiva. E non stiamo facendo niente per fermarlo

Author: Wired

D’altronde, come ha evidenziato l’ammiraglio Rob Bauer, capo del comando militare della Nato, in tutta la storia dell’umanità l’avanzamento tecnologico ha sempre aumentato la capacità di distruggere, amplificando rapidità e precisione degli strumenti offensivi. A essere rivoluzionati potrebbero essere altri due concetti strettamente correlati al campo militare e della sicurezza: quello di sovranità e quello di guerra. “La diffusione di attacchi cyber altamente sofisticati, conbinati con l’utiilizzo di tecnologie utili a condizionare il flusso di informazioni accessibili al pubblico, ha ampliato la zona grigia“, ha sottolineato Ahsan Gulrez, tenente generale delle forze armate del Pakistan.

Cambiano i concetti di sovranità e di guerra

La guerra del futuro potrebbe essere guidata da mezzi tecnologici, attacchi cyber a distanza con l’esplorazione delle vulnerabilità in infrastrutture critiche di un Paese geograficamente lontano. “Questo renderà difficile mantenere i tradizionali concetti di integrità territoriale e sovranità”, sostiene Gulrez. La sovranità non sarà più limitata al territorio fisico, ma anche quello virtuale. Come ha invece notato Kihara Minoru, ministro della Difesa del Giappone, le minacce cinetiche e quelle non cinetiche sono sempre più profondamente interconnesse e indistinguibili.

Mentre nulla può essere nascosto sul campo di battaglia, lo sviluppo militare e i legami tra attori statali e non statali possono invece saldarsi con grande opacità, rendendo più difficile anche individuare l’eventuale autore di un attacco. “Il confine tra periodi di pace e contingenze belliche sta diventando sempre più labile“. Come va interpretato un cyberattacco contro un’infrastruttura militare o civile? Può essere considerato un atto di guerra? Domande a cui presumibilmente ci si ritroverà costretti a dare una risposta non così di rado nel futuro prossimo. Per ora non si trovano risposte, visto non è stato raggiunto neanche lontanamente un consenso su che cosa possa rappresentare un’azione di guerra condotta in modo deliberato da un’entità statuale nella sfera cibernetica e virtuale.

Tutto ciò ha ripercussioni anche sul fronte geopolitico. Con questi rischi aumentati è assai difficile che un Paese possa garantirsi la propria sicurezza da solo. Per questo, secondo Minoru, la tendenza è quella di intensificare cooperazioni e partnership bilaterali, trilaterali o minilaterali. Eppure, non va pensato che la guerra del futuro si combatterà solo attraverso droni o mezzi autonomi. “L’azione bellica sarà ancora fatta di fango e sangue“, sostiene Bauer. Non sarà insomma una scelta a esclusione: la guerra non si combatterà tramite robot o androidi come accade in alcune opere fantascientifiche o distopiche, i mezzi autonomi si aggiungeranno a quelli tradizionale. La guerra tecnologica si sommerà a quella convenzionale. Come qualcuno ha notato, l’Ucraina ha sin qui resistito all’invasione russa proprio grazie alla combinazione tra nuovi mezzi tecnologici – come intelligenza artificiale, sensori, droni usati per il trasporto logistico, satelliti commerciali – e mezzi convenzionali.

Il dilemma sul controllo umano

L’azione bellica assume dunque contorni nuovi: sarà impossibile nascondersi del nemico e dunque servirà maggiore velocità. È quella che Bauer definisce “completa trasparenza del campo di battaglia”. Maggiore velocità significa spostamento perpetuo. Secondo diversi esperti intervenuti allo Shangri-La Dialogue, l’informazione e la comunicazione giocheranno un ruolo sempre piu critico. Farsi “vedere” dai propri cittadini o dalla comunità internazionale durante una guerra sarà sempre piu decisivo per un leader. In tal senso, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è riuscito a evitare un crollo del morale dell’Ucraina e la sfiducia dall’esterno proprio grazie alle continue apparizioni in rete. E allora ecco che serve tutelare la propria accessibilità alla rete e conservare i propri dati in piu luoghi contemporaneamente. Non solo e non tanto fisici, ma anche in cloud come ha fatto l’Ucraina con l’aiuto di Microsoft.

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Economia Tecnologia

Internet “libera” e fondi per l’AI: cosa c’è nel patto digitale dell’Onu

Author: Wired

Stabile, sicura e non frammentata”. Descrive così internet la prima revisione del Global digital compact, il patto su digitale e AI che l’Onu, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, vuole votare in un vertice sul futuro della tecnologia a New York, il prossimo settembre. Possono sembrare tre aggettivi scontati, ma uno, in particolare, non lo è. Perché mettendo nero su bianco che internet deve essere una infrastruttura integra e non frammentata, per l’ennesima volta l’Onu sbarra la strada ai tentativi della Cina e di altre nazioni di rimettere in discussione l’architettura della rete. E in parallelo il Palazzo di vetro vuole creare un sistema di studio e governance dell’AI parallelo a quello del clima, con consulenti scientifici, un vertice annuale e un fondo di sviluppo da 100 milioni.

Il braccio di ferro su internet

Ma andiamo con ordine. E torniamo a internet libera. È dal 2019 che Pechino, in vari modi, insiste per un nuovo protocollo di internet. E un nuovo sistema di governance, da sottrarre al modello multilaterale che oggi fa capo all’Internet governance forum. Obiettivo: spezzare internet in tante isole, la cosiddetta splinternet, più semplice da sorvegliare da parte dei governi. Pur avendo il sostegno di Russia, Arabia Saudita e di alcuni paesi africani, la Cina non è riuscita a ottenere consenso intorno al dossier, sempre respinto dalle assemblee internazionali. Ma non è detto che rinunci. Per questo è importante che all’interno del Global digital compact il Palazzo di vetro insista a mettere nero su bianco che l’internet multilaterale non si tocca. È, nelle pieghe del lessico curiale della diplomazia, un altolà al Dragone.

Il Global digital compact, al contrario, riconosce che il luogo dove discutere il futuro della rete e le sue evoluzioni è l’Internet governance forum (e non altri enti dove Pechino ha cercato di forzare la mano), che per questo l’Onu si impegna a finanziarlo, allargando la partecipazioni ai paesi più fragili, e che i 193 paesi delle Nazioni Unite assicurano di “promuovere la cooperazione internazionale” con l’obiettivo di “prevenire, identificare e affrontare tempestivamente i rischi di frammentazione di internet.

Le ricadute della rete

Perché la formula funzioni, non bastano gli impegni di principio del documento. Come lo stesso patto riconosce, ancora oggi 2,6 miliardi di persone non hanno accesso a internet. La bozza di patto chiede che un abbonamento di base alla banda ultralarga costi al massimo il 2% dello stipendio medio per il 40% più povero della popolazione mondiale, una sfida finanziaria per gli operatori di telecomunicazioni mondiali. Specie quelli del vecchio continente, i cui investimenti languono, soprattutto sulle tecnologie 5G. Settore dove invece è forte il Dragone, in espansione nelle forniture fuori casa. Il patto fissa un minimo di 10 megabit al secondo (Mb/s) come accesso universale alla rete e connessione assicurata a tutte le scuole del mondo entro il 2030. Entro la stessa data, l’Onu vuole assicurarsi che l’80% della popolazione mondiale abbia competenze di base in ambito informatico.

Secondo l’Istituto internazionale per la democrazia e l’assistenza elettorale, un ente intergovernativo, il patto deve guardare anche agli aspetti “hardware” di internet. E prevedere politiche che mettano al sicuro l’uso delle materie prime per i chip, il consumo di acqua per raffreddare i data center o la costruzione di cavi sottomarini per le telecomunicazioni, onde evitare che manchino le salvaguardie per garantire una rete aperta.

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Tecnologia

L’Onu bacchetta l’Europa sugli ambientalisti

Author: Wired

Le Nazioni Unite hanno intimato ai paesi europei di porre fine alla repressione e alla criminalizzazione delle proteste pacifiche degli ambientalisti, definendo le politiche attuate finora contro gli attivisti climatici una minaccia verso la democrazia e i diritti umani. Al contrario, gli stati dovrebbero lavorare per adottare urgentemente misure capaci di ridurre le emissioni inquinanti e limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi, in linea con gli Accordi di Parigi sul clima.

È in questo modo che Michel Forst, il relatore speciale delle Nazioni Unite sui difensori dell’ambiente, ha bacchettato le democrazie europee nel suo rapporto ufficiale, arrivato a conclusione di un’indagine durata un anno sulle repressioni di stato subite dagli ambientalisti in Regno Unito, Germania, Danimarca, Paesi Bassi, Spagna e Portogallo. Grazie alle testimonianze raccolte in questi paesi, Forst ha documentato molestie, brutalità e abusi di potere da parte delle forze dell’ordine, nei confronti degli attivisti e dei giornalisti inviati a raccontare le proteste.

Cosa dice il rapporto

In particolare, sottolinea l’uso di spray urticanti contro manifestanti, sia adulti che minorenni, l’uso di prese dolorose, sequestri di effetti personali, arresti sommari, raid mattutini da parte di unità antiterrorismo, agenti sotto copertura infiltrati tra i gruppi e, più in generale, l’impiego di tattiche usate contro la criminalità organizzata. Violazioni dei diritti civili che sono state accompagnate da un’azione legislativa volta a giustificarle, così come da etichette che mirano a screditare gli ambientalisti o ad associarli a organizzazioni pericolose, come la cosiddetta legge sugli eco-vandali in Italia o l’inserimento di Extinction Rebellion sotto la denominazione di terrorismo internazionale” in Spagna.

E tutto questo accade in nazioni che hanno ratificato la Convenzione di Aarhus, il trattato internazionale volto a garantire all’opinione pubblica il diritto alla trasparenza e alla partecipazione nei processi decisionali in materia ambientale, che comprende anche il diritto alla protesta pacifica. Tuttavia, il quadro generale tracciato da Forst indica come la risposta dei governi di tutta Europa sia andata nella direzione opposta, reprimendo la libera espressione del dissenso, invece che permetterlo e proteggerlo, arrivando addirittura alla criminalizzazione e alla denigrazione mediatica e politica degli ambientalisti.

L’emergenza ambientale che stiamo affrontando collettivamente, e che gli scienziati documentano da decenni, non può essere affrontata se coloro che lanciano l’allarme e chiedono azioni incisive vengono criminalizzati per questo. L’unica risposta legittima all’attivismo ambientale pacifico e alla disobbedienza civile è che le autorità, i media e il pubblico si rendano conto di quanto sia essenziale per tutti noi ascoltare ciò che hanno da dire i difensori dell’ambiente”, ha detto ancora Forst.

Il relatore ha poi sottolineato come, fino a questo momento, i governi abbiano continuato a “prendere decisioni che contraddicono direttamente le chiare raccomandazioni degli scienziati”, per affrontare la crisi del clima, e che il loro “fallimento” nel seguire politiche adeguate non farà altro che portare a sempre nuove e maggiori proteste e azioni dirette da parte degli attivisti.

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Economia Tecnologia

I 10 grandi eventi del 2024

Author: Wired

Politica, economia e sport. In un periodo di forti destabilizzazioni sul piano delle relazioni internazionali, il 2024 si prospetta come un anno pieno di iniziative di rilevanza globale.
Oltre alle importanti tornate elettorali in tutto il mondo (dall’Unione europea, agli Stati Uniti, passando per Russia, India, Iran e Taiwan) di cui abbiamo già parlato su Wired, il 2024 vedrà la dissoluzione dell‘Artsakh, noto anche come Nagorno Karabakh, ovvero la repubblica armena autoproclamatasi indipendente dall’Azerbaigian negli anni Novanta e che non esisterà più dal prossimo primo gennaio. Il 2024 vedrà anche la più grande esercitazione militare della Nato dalla caduta del Muro di Berlino, l’inaugurazione di Nusantara, la nuova capitale dell’Indonesia, oltre che la presidenza italiana al G7 e il primo “Summit for the future” delle Nazioni Unite, durante il quale la maggiore organizzazione internazionale si interrogherà su come risolvere le crisi e le emergenze globali più pressanti. Ma ci sarà anche spazio per il grande sport, con le Olimpiadi di Parigi e gli europei di calcio in Germania.

Mentre ci affacciamo al nuovo anno, ecco, dunque, i dieci più importanti eventi di rilevanza internazionale del 2024 per Wired.

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Economia Tecnologia

L’intelligenza artificiale secondo il fondatore di Wikipedia

Author: Wired

Jimmy “Jimbo” Wales è il fondatore della Fondazione Wikimedia e co-creatore di Wikipedia, l’enciclopedia libera e gratuita lanciata nel gennaio del 2001 che ha cambiato il nostro modo di cercare informazioni online. Oggi il suo sito web è un punto di riferimento centrale nel panorama web: così tanto visitato da essere tra i siti meglio indicizzati su Google e, più di recente, grazie alla sua sconfinata mole di informazioni ad accesso libero è diventato la banca dati più importante su cui è stata addestrata l’intelligenza artificiale di ChatGPT. Jimmy Wales, grazie alla sua vasta esperienza e al suo status di pioniere nel mondo di internet, rappresenta una delle voci più ascoltate e autorevoli per quanto riguarda gli sviluppi del web e delle tecnologie del digitale. Recentemente le sue posizioni sul futuro dell’intelligenza artificiale e su come regolamentarla hanno suscitato un ampio dibattito. Pertanto, approfittando della sua partecipazione al Web summit 2023 di Lisbona, Wired gli ha rivolto alcune domande per provare a inquadrare rischi e opportunità intorno a questa tecnologia in piena ascesa.

Pensa che l’AI generativa possa rappresentare una risorsa per Wikipedia e per l’ecosistema dei contenuti generati dagli utenti?
“È un’innovazione tecnologica molto eccitante e avrà un impatto sociale importante, ma è piuttosto difettosa sotto molti aspetti, come tutti sanno. La cosa più ovvia è che al momento non è in grado di gestire la struttura ad albero di Wikipedia: non ci si avvicina nemmeno. Inventa cose, persino le fonti. È abbastanza terribile. Ma pensiamo che in futuro possa essere utilizzata per esaminare la struttura ad albero delle diverse voci, per esaminare le fonti e cercare contraddizioni o informazioni mancanti. O, ancora, per dare suggerimenti alla comunità. Il nostro team di apprendimento automatico sta lavorando su molte idee diverse”.

L’ultima versione di GPT è connessa direttamente al web e ne estrae i dati in tempo reale. Potrebbe bypassare Wikipedia e allo stesso tempo fornire risultati che non sono corretti. Quali potrebbero essere le conseguenze di questo fenomeno?
“Nessuno apprezza ottenere risposte scorrette. Per questo motivo a Wikipedia non stiamo pensando di usare l’AI generativa in modo massiccio. Ma se fossimo in grado di prendere un modello linguistico di grandi dimensioni e addestrarlo sul nostro sito per migliorare la ricerca interna, potrebbe essere davvero interessante. Le persone non dovrebbero più andare su Bing o su Google e forse potrebbero venire direttamente da noi quando hanno una domanda. Non so se riusciremo a farlo, ci sono molte sfide tecniche a causa della natura dei modelli linguistici di grandi dimensioni. È estremamente complesso impedire a questa tecnologia di generare cose che sembrano plausibili ma che in realtà sono false, poiché questi algoritmi agiscono come generatori di parole basati sulla probabilità. Penso comunque che ci siano delle opportunità sull’accessibilità alle informazioni. Invece di andare a leggere un articolo e basta sarà possibile avere un dialogo con Wikipedia. Credo che questo sia interessante”.

Secondo alcuni, l’AI generativa potrebbe democratizzare la conoscenza, ma allo stesso tempo rappresenta un rischio per le democrazie. Qual è la sua opinione sull’impatto di queste tecnologie sulla società e sull’affidabilità delle informazioni?
“Nella misura in cui circolano disinformazione e fake news, questo è un male. In realtà credo sia un problema non causato dall’AI, ma dai modelli di business tossici dei social media che ci accompagnano da molto tempo. L’AI ha migliorato la capacità di alcuni attori di generare rapidamente informazioni false e plausibili, ma è un problema più complicato. Credo che dovremmo concentrarci su come lavorare per fornire informazioni di qualità alle persone. Penso che il pubblico si stia evolvendo in questo senso. Le persone stanno iniziando a capire che le foto sono facili da falsificare, più di quanto non lo fossero un tempo quando lo si faceva con Photoshop e per farlo in maniera credibile bisognava essere piuttosto bravi ad utilizzare i software. Ora, chiunque può creare una foto falsa e modificare un audio e così via – questo è un cambiamento fondamentale”.

In una recente intervista alla Bbc lei ha definito “pensiero magico” l’idea che l’AI possa essere controllata, affermando l’illegittimità da parte degli organi sovranazionali come l’Onu di legiferare in questo ambito. Qual è la sua posizione sulla regolamentazione dell’AI?
“Innanzitutto l’Onu non ha alcuna autorità su ciò che uno sviluppatore fa a casa propria. Potrebbe influenzare le legislazioni nazionali, ma anche in questo caso, i governi non possono certo regolamentare ciò che gli sviluppatori di software fanno a casa loro usando Photoshop o qualsiasi altro programma. Non è nemmeno lontanamente plausibile. Le persone hanno in mente un modello secondo il quale l’AI può essere realizzata solo da cinque o dieci grandi aziende, e quindi basta regolamentare quelle, ma non è questa la situazione in cui ci troviamo. I modelli linguistici di grandi dimensioni disponibili open source sono ancora un passo indietro rispetto a quelli dei grandi produttori, ma sono già abbastanza avanzati per procurare grossi danni, e non c’è modo di tornare indietro. Quindi penso che se le persone credono davvero che sia necessario che il governo faccia qualcosa, beh, non succederà mai. Cerchiamo di essere realisti. Non è affatto la risposta”.