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Elezioni regionali Lombardia: i programmi dei candidati per il lavoro e le imprese

Author: Wired

L’impegno, se dovesse essere eletta, riguarda anche l’introduzione di “una disciplina chiara e completa sullo smart working e diritto alla disconnessione del lavoratore, creando nuove connessioni con servizi pubblici e lavoratore”, “affrontare con strategie mirate il fenomeno della denatalità”, Studiare un assegno unico regionale per i figli”, “Investire sulla formazione professionale e sulla riqualificazione”, “fare squadra e mettere a sistema gli enti del comparto industriale”. Per le imprese, visti i tempi, Moratti vuole favorire l’indipendenza energetica delle pmi – stoccare l’energia prodotta e riutilizzarla anziché rivenderla a prezzo di listino”, ma anche spingere per una “digitalizzazione e uno snellimento del rapporto fra Pubblica amministrazione e imprese” unito al “supporto all’accesso credito di micro e piccole imprese”. Per i giovani imprenditori in programma anche “una formazione specifica”.

Pierfrancesco Majorino col centrosinistra e il Movimento 5 Stelle

Il candidato del centrosinistra e del M5s parla subito di pari opportunità “Servono nuove iniziative a sostegno dell’imprenditoria femminile” ma anche di promozione per l’innovazione nelle imprese lombarde, grazie all’ aumento “degli investimenti pubblici e privati in ricerca & sviluppo”, portando la spesa “dall’attuale 1,3% al 3% del Pil”, insieme a una nuova stagione “di investimenti pubblici e privati, favorendo il trasferimento dalle università alle pmi”. Un occhio di riguardo anche alle startup innovative, tramite “l’abbattimento totale dell’Irap per i primi 3 anni di attività e costituzione di un fondo regionale di co-investimento che raddoppi gli investimenti effettuati da investitori privati”

Guardando l’esempio dell’Emilia Romagna Majorino vuole realizzare, con le parti sociali e gli enti locali, “un grande Patto per il lavoro e il clima”, mettendo al centro “il lavoro dei giovani spezzando l’abuso nell’utilizzo degli stage”. Come? Potenziando “l’apprendistato, rendendolo progressivo, rafforzando la decontribuzione nazionale prevista dalla legge di stabilità e diminuendo la burocrazia necessaria per l’attivazione”, incrementando “le decontribuzioni statali per le assunzioni a tempo indeterminato, specie se legate a progetti di innovazione e trasformazione digitale”

E aggiunge misure “per impedire l’abuso dei finti tirocini e aumentare la retribuzione minima per  gli stage ad almeno 800 euro al mese”. Punti anche per la libera professione, attraverso un aumento delle “tutele e opportunità a favore di freelance e partite Iva, a partire dall’accesso dei professionisti alla formazione continua”. Nei bandi pubblici Majorino punta “all’istituzione di un salario minimo a tutela del lavoro”. Per monitorare l’andamento del settore verrà istituito “un osservatorio sui salari in Lombardia, sostenendo il salario minimo e contrastando la disparità salariale tra generi”. Contro i Neet verrà implementato un sistema di orientamento e la costruzione di un catalogo permanente di brevi corsi di qualificazione professionale per i Neet maggiorenni”.

Mara Ghidorzi per Unione popolare

Per il lavoro la candidata per Unione popolare nel suo programma propone “l’emanazione di direttive più restrittive in materia di sicurezza sul lavoro”, il rafforzamento “delle attività di controllo diretto della sicurezza sul lavoro nelle aziende”, e “degli strumenti di sostegno al reddito, di contrasto alla povertà e al caro bollette” e degli “strumenti normativi e finanziari per tutelare i posti di lavoro nelle crisi aziendali”

Ghidorzi vuole disincentivare le delocalizzazioni vincolando le imprese alla restituzione di eventuali finanziamenti ottenuti” e potenziare “i centri per l’impiego pubblici con eliminazione del sistema a Dote e di accreditamento delle agenzie private”, oltre a un piano di assunzione da 20.000 posti a partire da welfare, sanità, trasporti e sicurezza sul lavoro”. Tra i punti anche quello che prevede di “subordinare la concessione a privati di appalti o finanziamenti alla previsione di un salario minimo non inferiore a 10 euro da rivalutare annualmente e al rafforzamento dei controlli sulla sicurezza sul lavoro” e “per la concessione di finanziamenti a privati, dare punteggi aggiuntivi in caso di riduzione dell’orario lavorativo e di esclusione di forme contrattuali atipiche diverse dal contratto a tempo indeterminato”.

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Economia Tecnologia

Tv, la battaglia tra canali generalisti e streaming ora passa dal telecomando

Author: Wired

I nuovi smart tv commercializzati in Italia dovranno obbligatoriamente prevedere la presenza sulla propria home page di un’icona immediatamente visibile, in posizione principale rispetto alle altre, che dia accesso ai servizi di interesse generale (Sig), tra i quali rientrano Rai, Mediaset, La7, Sky e Discovery, radio nazionali ed emittenti tv locali. I produttori dovranno inoltre vendere, insieme a ciascun apparecchio, almeno un telecomando dotato dei tasti numerici dallo 0 al 9, per consentire agli utenti di sintonizzarsi sui canali del digitale terrestre.

La situazione:

  1. La consultazione pubblica
  2. Le icone
  3. Le motivazioni

La consultazione pubblica

Sono queste le principali linee guida sulle quali l’Autorità garante per le comunicazioni (Agcom) ha approvato, il 25 gennaio, l’avvio di una consultazione pubblica. Lo scopo dell’autorità è quello di garantire il maggior risalto possibile sui televisori degli italiani a quelli che in una nota vengono definiti i “servizi di media audiovisivi e radiofonici di interesse generale”, forniti dagli editori della tv tradizionale.

Le icone

Secondo le disposizioni dell’Agcom, l’icona dovrà costituire l’accesso unico a tutti i Sig e portare a un sotto menu contenente altre icone: quella della Rai, quelle delle altre emittenti nazionali generaliste raggruppate per editori, una dedicata alle radio nazionali, una per le televisioni locali, oltre ad altre che potranno raggruppare i canali tematici.

Queste icone dovranno raggruppare tutti i servizi di interesse generale forniti gratuitamente dai singoli editori. Tra questi ultimi, quelli non previsti dal testo dell’autorità che desiderino essere qualificati come Sig dovranno presentare un’apposita richiesta entro trenta giorni dall’approvazione definitiva del provvedimento.

La previsione della presenza di un’icona sulle home page di tutte le smart tv commercializzate in Italia è utile, secondo l’Agcom, “per assicurare alla più ampia utenza possibile il pluralismo, la libertà di espressione, la diversità culturale e l’effettività dell’informazione“.

Le motivazioni

Il provvedimento, attraverso il quale “l’autorità intende garantire che determinati servizi e contenuti siano immediatamente accessibili agli utenti, pur continuando ad assicurare a questi ultimi la più ampia possibilità di scelta” rappresenta un toccasana per gli editori tradizionali, impedendo il rischio che i nuovi smart tv possano in qualche modo mettere in secondo piano i canali del digitale terrestre rispetto alle piattaforme dello streaming online.

A “preservare la disponibilità e l’accessibilità dei contenuti fruibili tramite la piattaforma digitale terrestre” servono anche gli altri paletti imposti ai produttori dal testo messo in consultazione, ovvero la fornitura ai clienti di almeno un telecomando che presenti i tasti numerici dallo 0 al 9 e la previsione di un sistema di numerazione automatica. Obblighi che incideranno sulle politiche delle aziende sia per quanto riguarda la produzione hardware, sia per quanto riguarda quella software.

Anche per questo, “nella consultazione è espressamente richiesto al mercato di proporre ipotesi migliorative o alternative a questa”. La consultazione pubblica prenderà avvio dalla data di pubblicazione della delibera e avrà una durata di 30 giorni.

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Google, perché gli Stati Uniti hanno fatto causa

Author: Wired

Google deterrebbe un monopolio illegale sul mercato della pubblicità online. Con questa accusa, il Dipartimento di giustizia e otto stati statunitensi hanno intentato una causa contro la società di Mountain View, proponendo peraltro una separazione netta tra le attività aziendali che riguardano tale settore e tutte le altre, perseguibile attraverso la cessione da parte del colosso dei prodotti tecnologici utilizzati per le prime.

Google, che attraverso i propri servizi di promozione per le aziende incassa più dell’80% dei propri ricavi, “ha utilizzato – osserva il procuratore generale Merrick B. Garlandcomportamenti anticoncorrenziali, esclusivi e illegali per eliminare o ridurre drasticamente qualsiasi minaccia al suo dominio sulle tecnologie pubblicitarie digitali”.

In particolare, “per 15 anni – prosegue – Google ha perseguito una condotta che le ha consentito di arrestare l’ascesa di tecnologie rivali, manipolare i meccanismi delle aste per isolarsi dalla concorrenza e costringere inserzionisti ed editori a utilizzare i suoi strumenti”.

La causa, che potrebbe approdare in tribunale nel prossimo settembre, non è la prima nei confronti della big tech californiana. Già nel 2020 il dipartimento aveva infatti denunciato la società con l’accusa di aver cercato di proteggere illegalmente la propria posizione monopolistica nel mercato dei motori di ricerca online.

Quella del Dipartimento di giustizia, secondo il vicepresidente per la pubblicità globale di Google Dan Taylor, “un’argomentazione errata, che rallenterebbe l’innovazione, aumenterebbe le tariffe pubblicitarie e renderebbe più difficile la crescita di migliaia di piccole imprese ed editori”.

Il dipartimento – prosegue Taylor – ci chiede di liquidare due acquisizioni che sono state esaminate dalle autorità di regolamentazione statunitensi 12 anni fa (AdMeld) e 15 anni fa (DoubleClick)” e “da allora, la concorrenza in questo settore è solo aumentata”. Il dipartimento starebbe quindi “tentando di riscrivere la storia a spese di editori, inserzionisti e utenti di Internet”.

L’attuale amministrazione – aggiunge il dirigente – ha sottolineato il valore dell’applicazione dell’antitrust nella riduzione dei prezzi e nell’ampliamento della scelta per il popolo americano. Siamo d’accordo. Ma questa causa avrebbe l’effetto opposto, rendendo più difficile per Google offrire strumenti pubblicitari efficienti”.

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Intel, che fine ha fatto la fabbrica di chip in Italia

Author: Wired

Un’ondata di gelo travolge il Veneto. Non è colpa però delle rigide temperature invernali, ma del possibile passo indietro di Intel rispetto alla realizzazione a Vigasio, in provincia di Verona, di una fabbrica per l’imballaggio e l’assemblaggio di semiconduttori.

Secondo il Corriere della Sera, l’amministratore delegato della multinazionale statunitense Pat Gelsinger, pur smentendo le voci su un totale disimpegno dell’azienda sul territorio europeo, ha confermato l’intenzione di investire in Germania ma ha palesato qualche dubbio sull’effettiva costruzione dell'”annunciato impianto di packaging nell’Uein Italia.

L’Italia – ha spiegato l’ad – è ancora in gioco, ma anche altri paesi candidati. Stiamo cercando di vedere dove. Decideremo entro l’anno”. “Con la Germania – ha invece affermato – stiamo andando avanti. Stiamo finendo i negoziati su alcuni aspetti con l’Unione europea e con i tedeschi sulle dimensioni e altro”.

I motivi

Secondo quanto riporta il Corriere, la decisione con cui Intel sta continuando a lavorare per realizzare “un mega impianto all’avanguardia in Germania” potrebbe essere figlia di un contributo sostanzioso messo sul piatto da Berlino, per coprire i costi maggiori per l’azienda dovuti al caro energia, all’inflazione e all’aumento dei prezzi delle materie prime. Fattori che, secondo le stime di Intel, hanno fatto salire da 17 a 20 miliardi l’entità totale dell’investimento necessario in terra tedesca.

Una buona fetta, pari a circa 6,8 miliardi, potrebbe dunque essere coperta da risorse pubbliche. Proprio l’adozione da parte della Commissione europea del cosiddetto Chips Act, una serie di misure legislative e finanziarie per sostenere la produzione di semiconduttori nell’Unione europea, era d’altronde stato un incentivo per Intel in vista di una serie di investimenti nel vecchio continente.

Il governo

Il governo continua intanto a spingere affinché lo stabilimento del colosso statunitense sia realizzato in Veneto. Al Corriere, Gelsinger ha dichiarato di aver avuto una conversazione telefonica in merito con la premier Giorgia Meloni lo scorso 17 gennaio, mentre a margine dell’inaugurazione di Vicenzaoro January, in Fiera a Vicenza, il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso ha affermato di essere “in contatto costante – riporta l’agenzia stampa Radiocorsia con Intel, sia con le istituzioni europee per cercare di garantire all’Italia l’insediamento di Intel.

Il governo – ha aggiunto Urso – è in prima linea in questo progetto, un progetto in cui crediamo perché improntate e significativo anche dal punto di vista dello sviluppo tecnologico e per il quale abbiamo risposto positivamente a tutte le esigenze che ci sono state sottoposte. Starà infine all’azienda scegliere dove vorrà insediarsi“.

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Economia Tecnologia

Startup, il piano per promuovere le aziende italiane nella Silicon Valley

Author: Wired

Fino al 26 gennaio è possibile candidarsi per i primi due programmi, che corrono in parallelo: lo Startup acceleration per startup che sono già uscite dalla fase early stage e il Sme traction, che invece si rivolge alle pmi innovative. Le aree d’interesse sono tre: intelligenza artificiale, metaverso e cultura e creatività. Le prime 40 startup e 25 pmi in graduatoria accederanno a un percorso di orientamento e mentorship online di due settimane, al termine del quale le migliori 15 startup e 15 pmi potranno affrontare un percorso intensivo in presenza a San Francisco negli spazi di Innovit al 710 di Sansome Street. Il percorso durerà una settimana per le pmi e due settimane per le startup, caratterizzato da opportunità di interazione privilegiata con l’ecosistema della Bay Area.

“Siamo già al lavoro sulle prossime call. Ne faremo una ogni trimestre per tutto il 2023 – prospetta Acito -. Cybersecurity, blockchain, internet of things (IoT) e robotica saranno le protagoniste della prossima call, poi passeremo al green tech e al food tech, per chiudere l’anno con la space economy. Questo è un momento ottimo per promuovere le nostre aziende. I numeri ci dicono che l’interesse da parte di investitori statunitensi in startup europee si sta consolidando. Lo scorso anno oltre il 50% dei round di finanziamento in startup europee includevano almeno un investitore non europeo. Secondo quanto riportato da Pitchbook, si è trattato di ben 4.232 deal, pari a 65,2 miliardi di euro, ossia rispettivamente il 49.6% e il 79% in volume di deal e valore. Peraltro alcuni famosi venture capital, come Sequoia, Sapphire Ventures e General Catalyst, hanno recentemente aperto uffici in Europa. Non c’è dubbio che l’Italia abbia urgente bisogno di posizionarsi come paese innovativo e high-tech. Per questo è nato Innovit”.

Da ottobre dello scorso anno, il Centro d’innovazione italiano all’interno di Innovit è gestito dalla Fondazione Giacomo Brodolini e da Entopan Innovation, incubatore e acceleratore di Harmonic Innovation Group. Questo primo esperimento potrebbe essere replicato anche in altre città strategiche, purché rimanga alta l’attenzione ed efficace il coordinamento dei tanti attori pubblici coinvolti.“Quello che stiamo facendo a San Francisco è un vero e proprio esperimento di promozione del Sistema paese, che non poteva trovare luogo migliore della Silicon Valley – conclude il direttore Acito -, ma potremmo replicare questo modello anche in altri hub dell’innovazione negli Stati Uniti e nel mondo. L’obiettivo ultimo è quello di stimolare progetti transnazionali a forte innovazione, dando un contributo importante alla crescita della cultura imprenditoriale tra i nostri giovani, in particolare nel settore tecnologico”.