Author: Wired
Il tempo fungibile è uniforme, standardizzato e intercambiabile. È quello che usiamo per organizzare le nostre attività. È l’ordine temporale in cui viviamo tutti. Quando si vive in una società che parla la lingua del tempo fungibile, è molto difficile cercare di pensare che il tempo non lo sia davvero.
Ma quando si analizza la storia del tempo, ci si rende conto della sua specificità culturale. È la storia del colonialismo e dell’industrialismo. In Accounting for Slavery, Caitlin Rosenthal parla dei fogli di calcolo utilizzati nelle piantagioni, i libri contabili. Uno dei primi esempi concreti dell’applicazione del concetto di ora dell’uomo, intesa a tutti gli effetti come ora di lavoro.
Cos’è, invece, il tempo non fungibile?
Sperimento il tempo non fungibile – che, in realtà, è tutto il tempo che ho – ogni volta che sono consapevole di come un momento sia diverso dall’altro. Questo è il modo in cui il tempo funziona nel corpo. L’esperienza della malattia o della ferita, e poi della guarigione, è un buon esempio che mi è tornato alla mente quando di recente ho avuto il Covid. Ma lo è anche guardare i figli dei miei amici che imparano a parlare. Penso che chiunque faccia giardinaggio conosca molto bene il tempo non fungibile. Esiste un senso del tempo, come quando si ha la necessità di fare le cose in momenti precisi, ma non si possono forzare le cose in modo standardizzato. Bisogna stare attenti a ciò che le piante fanno in un determinato giorno.
Come siamo arrivati all’attuale ossessione per la produttività e l’auto-ottimizzazione?
Innanzitutto, vorrei dire che una persona la cui produttività viene misurata sul lavoro o un qualunque lavoratore autonomo possono sembrare ossessionati dalla questione, ma è perché ne hanno bisogno. Da una parte questo è dovuto alla coercizione o al modo in cui è concepito il luogo di lavoro, dall’altra è legato al desiderio di rimanere a galla o di guadagnarsi da vivere in modo migliore. Quindi è complicato.
Direi che la nostra fissazione generale per la produttività ha radici nell’etica del lavoro protestante, dove vigeva l’equazione morale “non sei una brava persona se non sei sempre occupato”. E non dovresti nemmeno spendere i soldi che guadagni. Negli Stati Uniti, all’inizio del ventesimo secolo, c’è stata una vera e propria ossessione per l’applicazione del Taylorismo – un metodo scientifico per aumentare la produttività – anche all’esterno della fabbrica. Persino al corpo umano, una cosa che ha finito con l’intrecciarsi con l’eugenetica. Ovunque c’era l’ossessione di dover perfezionare una macchina secondo determinati standard. E questa idea è ancora molto radicata in noi.